Olimpiadi Letterarie

IL PIANO OL

BRANO X+J

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  1. Olimpiadi Letterarie
     
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    IL PIANO OL
    Nessuno mi aveva insegnato a comportarmi nel caso mi fossi innamorata di un collega. In genere “sconsigliano” di farlo, ma non sono cose che si possono decidere. Non ti svegli una mattina decidendo di chi innamorarti.
    Quando è successo a noi eravamo in missione come agenti dei servizi segreti. Non posso rivelare di quale nazione. Dovevamo infiltrarci in un gruppo che arruolava stranieri per terrorismo. Qualcuno ha parlato e hanno cercato di farci saltare in aria all'albergo. Insieme a lui sono morte altre 34 persone, tutti turisti stranieri. Nessuno ha rivendicato l'attacco.
    Con lui ha funzionato, con me no. Sono sopravvissuta, ero andata a cercare dell'alcol in questo posto sperduto per divertirci un po' e quando è saltato tutto in aria io non c'ero. Ma ho capito subito.
    In compenso, comunque, mi hanno insegnato a maneggiare gli esplosivi. Mi sono costruita una bellissima cintura di C4, ho persino disegnato i simboli di Louis Vuitton sopra. Non che qualcuno potrebbe mai scambiare le due cose, ma volevo fosse un po' divertente. Sembra una presa in giro. Deve esserlo, se voglio mandare un messaggio.
    È personale. Non lo faccio per la patria, per l'occidente o qualche altro concetto che ormai per me non ha più nessun significato. Lo faccio per me. Per lui. Voglio la mia vendetta.
    Sono in un villaggio nel medio oriente, in un posto di cui non sentirete mai nominare. Non sentirete parlare di quello che sto per fare, lo bolleranno come incidente. Io non sarò mai esistita per voi.
    Le strade sono vuote. Mentre ci cammino in mezzo mi chiedo se ci sia ancora qualcuno lì, se le informazioni che ho rubato sono giuste e aggiornate. Ma non lo saprò finché non varcherò quella soglia.
    Le case sono in uno stato pietoso, alcune sono crollate, hanno i vetri rotti, la vernice scrostata e i fori di proiettile nei muri. Ma non ci si nasconde nessuno. Il villaggio è stato evacuato circa sei mesi fa ad opera del legittimo governo del paese. Prima che il gruppo terrorista a cui do la caccia si insediasse qui, approfittandosi dell'assenza di qualsiasi controllo su questa regione.
    Il silenzio però mi fa impazzire, sento solo i miei passi mentre mi dirigo dall'altra parte del villaggio, dove una volta c'era un centro sportivo. Ora il suo scopo è un altro, è una specie di base di controllo, dove spero di trovare chi ha ucciso il mio partner. E se non li dovessi trovare ne avrei trascinati così tanti con me nella tomba che l'organizzazione crollerebbe all'istante.
    Mi squilla il telefono.
    “Ma che diavolo stai facendo?”Il mio ex-superiore mi urla nelle orecchie, come al solito.
    “Quello per cui mi pagate.”
    “Non ti pago per suicidarti.”
    “Ah sì?”
    Silenzio.
    “Addio,” gli rispondo.
    “No, aspett...”
    Metto giù, ma non posso sbarazzarmi del cellulare, ne ho bisogno per detonare la cintura. Oppure ho fatto tutto questo per niente.
    In lontananza il rumore degli elicotteri mi risveglia dai miei pensieri. Mi infilo in una delle case e mi nascondo a fianco della finestra. Non so esattamente chi stiano cercando, probabilmente me.
    Il cellulare vibra.
    “Stai per compromettere tutto quello per cui hai lavorato in questi anni” dice il messaggio.
    “No, questo è quello per cui ho lavorato in questi anni. Non mi cercate. Vi sto facendo un favore”.
    Guardo gli elicotteri sparire dietro le case di fronte alla mia e lascio che il rumore svanisca prima di aprire la porta e proseguire nel mio percorso.
    Decido di andare in cucina.
    Apro un armadietto per vedere se c'è ancora qualcosa, ma si sono portati via tutto. La cucina è spoglia. Sui ripiani non c'è niente, solo un orologio in legno rotto. Segna le 9.17. Le pareti grigio scuro sono piene di crepe e la tenda che separa la cucina dal salotto è strappata. C'è ancora il tavolo appoggiato al muro, sulla sinistra, ma non ci sono le sedie.
    Sospiro e torno in salotto, dove non è rimasto nulla.
    Solo un divanetto sfondato e un quadro che raffigura una natura morta sopra di esso.
    Apro la porta ed esco di casa. Metto le mani alla pistola, da qui in poi potrebbero esserci delle pattuglie o dei cecchini.
    Al primo incrocio giro a sinistra in un vicolo e per poco non incontro proprio una pattuglia. Mi nascondo dietro a un cassonetto e aspetto che passino. Li sento dire qualcosa in un dialetto a me sconosciuto e andarsene dalla parte opposta.
    Esco dal nascondiglio improvvisato e mi avvicino all'angolo della casa.
    Presto attenzione ai rumori, ma non sento nulla. Mi sporgo un attimo per vedere e la strada è di nuovo deserta.
    Proseguo dritto e vedo il centro sportivo a una cinquantina di metri da me, un edificio bianco, con una cancellata verde in metallo e una bacheca con dei fogli.
    Osservo le due guardie lì di fronte. Non stanno prestando alcuna attenzione all'ambiente circostante, parlottano fra di loro tutto il tempo guardando l'ingresso dell'edificio ma non la strada.
    Mi avvicino e nascondo dietro un cumulo di macerie a pochi metri da loro.
    Prendo la mira e faccio fuori quello più lontano. Non sente nemmeno lo sparo. Il suo compagno non fa in tempo a capire da dove è arrivato il colpo ed è a terra anche lui.
    Tiro fuori il cellulare e compongo il numero di quello che c'è attaccato al plastico. Mi alzo in piedi e mi dirigo a mani alzate verso la porta.
    Un cecchino si sporge dal tetto.
    “So che c'è qualcuno in grado di capire la mia lingua. Voi mi sparate e io mi faccio esplodere. Voi non mi fate entrare e io mi faccio esplodere. Ho talmente tanto plastico addosso da radere al suolo tutto il quartiere. Fossi in voi non rischierei.”
    Osservo la canna ritrarsi e sento qualcuno aprire la porta.
    Apro il cancello ed entro, camminando piano fino alla porta.
    Fare movimenti bruschi porterebbe qualcuno a spararmi. La apro ed entro dentro.
    Nella stanza ci sono cinque persone. Hanno posato a terra le armi.
    “Bene, ora che siamo qui...”
    Mi blocco. Con la coda dell'occhio ho visto qualcuno nascondersi dietro al bancone di quella che doveva essere stata la reception.
    “Tu, esci fuori se non vuoi morire.”
    Non ho alcuna reazione. Mi avvicino al bancone.
    “Davvero vuoi saltare per aria? Non essere stupido. Esci.”
    Mi giro per guardare gli altri e vedo il sudore colare sulla fronte di uno di loro, poi ritorno a fissare il bancone.
    “Non dovresti essere qui, tesoro.” Quella voce. Quella maledetta voce che mi tormenta dall'incidente dell'albergo.
    Esisto. Quasi mi cade il cellulare dalle mani. Mi si stringe lo stomaco e lo guardo girarsi verso di me con le mani alzate.
    “Cosa ci fai qui?”
    “Lucas!” sussurro, mentre qualcuno sbucato dal buio dietro di me mi afferra con forza approfittando del mio attimo di sorpresa per immobilizzarmi. Cazzo! Guardo Lucas avvicinarsi, vedo i suoi magnetici occhi fermarsi nei miei e brillare nel buio. Sono senza parole: lo smarrimento iniziale inizia a stemperarsi, l’inaspettata sorpresa di vederlo ancora vivo lascia il posto a una strana amarezza non appena capisco la situazione.
    Mi guarda, sorride. Io capisco e non riesco a dire niente. Lucas è un infiltrato, un pezzo del loro cancro putrido che si è insinuato nel nostro ingranaggio facendo saltare tutte quelle persone in aria. E io che ci sono cascata come una pera…
    L’uomo che mi tiene i polsi ha adesso in mano il mio cellulare e lo sta porgendo a una terza persona: senz’altro è il tecnico di turno che troverà il codice e disinnescherà la carica esplosiva che mi porto legata alla vita. Mi odio. Lascio che mi portino via senza riuscire a staccare lo sguardo da quello del grande bastardo che mi ha fregato alla grande.
    L’unica cosa che riesco a pensare è che stavo per morire per lui. Per lui avrei fatto davvero quella strage. Per lui… Per quelle cazzo di parole che mi aveva detto, per come mi ero sentita bene tra le sue braccia. Colpa mia, certo. Se da sempre i grandi capi ‘sconsigliano’ certi tipi di rapporti tra colleghi, un perchè ci sarà, per forza.
    “Portatela di là” sentenzia il bastardo, e il suo sguardo mi segue ironico, mentre io sono solo capace di far cadere una lacrima sulla mia guancia sporca.
    Mi sbattono in una cella buia, piccola e stretta. La rabbia si sta svegliando dentro di me e scalpita furiosa. Stupida, stupida che non sono altro! Mi sono lasciata fregare come una ragazzina, come una principiante. Sono così incazzata adesso che lo potrei uccidere a mani nude, strappandogli il cuore come lui ha fatto con il mio. Maledetto bastardo.
    In questa cella puzzolente il tempo non passa mai. Non riesco nemmeno a quantificare da quanto tempo sono qui. Probabilmente un giorno. La mia rabbia nel mentre è scemata, sto concentrando le mia forze per cercare un modo per uscire di qui. Mi manca l’aria.
    Sono appisolata quando sento lo sferragliare delle chiavi nelle toppa. Fingo di dormire, mentre qualcuno si avvicina.
    “Luna?” un bisbiglio. Lui.
    Mi tocca appena sulla spalla, ma con un balzo che non si aspetta riesco a dargli una testata e a farlo cadere in terra.
    “Brutto pezzo di merda!” ma non mi posso avvicinare di più perchè la catena che mi lega al letto è troppo corta.
    “Luna, ti prego ascoltami!” il bastardo continua a sussurrare. C’è forse un tono di supplica nella sua voce?
    Facendomi incazzare di nuovo si avvicina e mi mette una mano sulla bocca, poi inizia a parlare in un sussurro.
    “Il piano OL, è stato ripristinato. Capisci Luna? Ripristinato”
    “Menti!”
    “No, sono il jolly Luna. Alla fine hanno scelto me” Nel silenzio che segue ho il tempo di vedere dentro i suoi occhi. E lì vedo la verità. Il piano OL, il doppio gioco, avevano detto che era troppo impegnativo, troppo pericoloso, avevano detto che non si poteva più fare. Ma Lucas non solo sta dicendo che il piano è effettivo, ma che lui stesso è il jolly.
    “Va via, stronzo! Menti!”
    “No, Luna! Ti ho mandato io via quella sera, ricordi? Eravate tutti sacrificabili, ma io mi sono imposto: volevo la tua incolumità!”
    Cazzo. Mi devo fidare? Non mi devo fidare?
    “Andiamo via di qua allora!” sibilo al suo orecchio, e non faccio in tempo a dire così che ha già aperto le mie catene, mi getta addosso una tunica scura e usciamo da questo posto.
    Ci muoviamo silenziosi lungo i corridoi bui: lui si orienta molto bene, si vede che è già stato qua. Io lo seguo in silenzio. Ho deciso di fidarmi, forse me ne pentirò, ma non ho altra scelta.
    Saliamo una ripida scaletta, poi svoltiamo in un altro corridoio. Tutto troppo tranquillo. Non mi piace, neanche un pò.
    Dalla porta in lamiera luccicano gli spiragli del giorno. Lucas si volta, mi guarda, sorride. Ce l’abbiamo fatta, vuol dire quello sguardo, ma sento che non è così, provo a trattenerlo, ma lui avanza, apre uno spiraglio, poi spalanca la porta tutta insieme. E lì, alla luce del sole, sono tutti schierati ad attenderci.

    Che schifo, mi dico. Che fottutissimo schifo. Una trappola nella trappola. Il piano OL era davvero troppo pericoloso, o noi troppo giovani. Chissà.
    Lucas è sdraiato davanti a me, legato su questo tavolo sporco di sangue.
    Mi guarda e i suoi occhi sono stranamente affogati nel panico. Non pensavo che si potesse arrivare a questi livelli, ma forse sono davvero troppo giovane. E ingenua.
    La folla intorno a noi è rumorosa e eccitata. Mi incitano nella loro lingua barbara.
    In mano mi hanno messo un coltello, nemmeno tanto affilato.
    Non riesco a pensare lucidamente.
    Davanti a me ci sono dieci bambini piccoli. Piangono disperati.
    Capisco che se non uccido Lucas, loro uccideranno i bambini.
    Sudo.
    Gli occhi di Lucas guizzano da tutte la parti: è sdraiato, non ha capito bene la situazione, cerca di vedere. Io non riesco a staccare i miei occhi dai suoi. Prendo tempo.
    All’improvviso un uomo si avvicina a una bambina, le tira indietro i capelli mettendo in mostra la sua morbida gola candida e la sgozza con un coltello. Il bambino accanto a lei viene innaffiato da uno spruzzo di sangue improvviso. Urla. Urlo anch’io.
    La folla invece esplode in un boato soddisfatto.
    Guardo Lucas.
    Sudo.
    Un uomo si avvicina impaziente ad un altro bambino.
    Gli tira indietro i capelli, la sua piccola gola bianca risplende nel sole.
    Urla e urlo anch’io, l’urlo cieco della disperazione.
    Alzo il maledetto coltello e lo pianto nel petto di Lucas.
    Tiro, squarcio, lacero, piango.
    Strappo il suo cuore e lo alzo in alto.
    La folla urla eccitata.
     
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  2. MyaMcKenzie
     
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    Complimenti a entrambi. Credo che questo sia stato uno dei brani in cui ho faticato di più a trovare la fine del primo e l'inizio del secondo.
    Tanto di cappello a Caipiroska, quindi, e ad Ashildr (con il quale non ho mai avuto il piacere di scambiare due parole... non h mai visto nemmeno un tuo racconto, un commento, niente di niente... un fantasma in pratica ;) Mi hai dato del filo da torcere)
    Bravissimi
     
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  3. caipiroska
     
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    Ciao Ashildr,
    non ti conosco e non ti ho mai letto, ma ci tenevo a dirti che mi hai incasinato di molto la vita con il tuo inizio!
    Alla fine però mi sembra che il risultato sia interessante, o no?
    Fammi sapere...
     
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  4. Ashildr
     
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    @Mya grazie! Sono un fantasma perché non frequento praticamente più i forum (ero sul wd un paio di anni fa ma ho mollato) e non ho praticamente tempo per farlo. Magari in futuro tornerò a esplorare questi lidi.

    @Caipiroska questo non me lo aspettavo sinceramente xD Quando è uscito l’altro tropo pensavo di aver fatto qualcosa di semplice perché involontariamente ce l’ho infilato dentro. Ma forse la situazione di stallo in effetti è brutta da continuare se non la si è pianificata prima.
    Mi è piaciuto molto il finale, non era tra quello che avevo previsto e sei stata molto brava a continuare il mio stile, soprattutto considerando che non mi conosci e non mi hai mai letta.
     
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3 replies since 2/10/2017, 22:20   33 views
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