Olimpiadi Letterarie

Il delitto del Bosco Alto

Girone Picche - Genere "Noir"

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  1. Befana Profana
     
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    Senza Dudo non l'avrebbero mai trovata.
    D'autunno, Brugnolo è un borgo calmo, quasi anestetizzato dal freddo, ben lontano dai giorni soleggiati e chiassosi dell'estate, quando i turisti, appassionati di un presunto ritorno alla natura, ne invadono a frotte strade, casolari, boschi e sentieri fino al Lago Dolce, dove si accalcano per pescare.
    In novembre, invece, i pochi abitanti si adattano al clima, rallentano le loro attività, si chiudono in casa al calar della sera: le temperature sono basse, dopo il tramonto scendono velocemente fin quasi allo zero.
    Quell'anno, poi, erano già cadute le prime nevi e i vecchi prevedevano un inverno rude. Per questo, a quell'ora, non avrebbe dovuto esserci in giro nessuno, ma Aldo ricercava il cane, scappato la sera prima inseguendo una volpe.
    Dudo odiava le volpi, non poteva sopportarle, ne era un cacciatore implacabile. Il padrone aveva aspettato un paio d'ore il suo ritorno, poi era andato a coricarsi, pensando trovarlo infreddolito e affamato davanti alla porta, la mattina. Ma il vento e l'inquietudine per l'animale gli avevano impedito di dormire. In paese lo prendevano in giro, dicevano che amasse quel Collie come un figlio, ma da quando Rosa, sua moglie, era morta, Dudo era la sua sola famiglia ed era docile, affettuoso, servizievole e fedele. Aveva quell'unico difetto di correre dietro alle volpi.

    Per una volta il suo vizio fu utile. Aldo partì all'alba verso il Bosco Alto, fischiando e chiamando il cane a gran voce; lo trovò in una piccola radura, non molto lontano dal lago. Avvicinandosi, comprese la ragione per cui non era rientrato: sorvegliava il corpo di una donna.
    Giovane, decisamente giovane e molto bella, anche da morta, pensò Aldo: non l'aveva mai vista, o se ne sarebbe ricordato, ne era sicuro. Il Collie l'aveva sorvegliata tutta la notte, proteggendola dagli animali selvatici: aveva avuto ragione, il corpo era già stato intaccato qui e là, ma poca cosa, doveva averla trovata a qualche ora dalla morte.
    Senza di lui forse non l'avrebbero mai scoperta, disse ad Aldo il Maresciallo Bui, al suo arrivo sul posto.

    Con l'arrivo dei Carabinieri, la placida quiete di Brugnolo fu bruscamente turbata: i militari setacciarono la zona circostante il luogo del ritrovamento su un vasto perimetro e interrogarono ogni abitante del paese.
    Nessuno identificò la donna. Venti-ventidue anni, secondo il medico, morta strangolata, presumibilmente a mani nude, anzi guantate, a giudicare dall'assenza di impronte; non aveva documenti né telefono.
    Le mancava un guanto, questo dettaglio lo aveva notato subito anche Aldo.

    Fu Carlo Martini, il padrone del Bar della Piazza, a parlare per primo agli inquirenti di Angelo Moncalli, detto il Monco.
    «Non che gli manchi una mano, è per via del cognome, e poi qualcosa gli manca... un paio di rotelle, almeno,» spiegò. Fu la cosa più gentile che udirono a proposito del soggetto.
    Tutti in paese dicevano le stesse cose: il Monco era strano fin da bambino, i coetanei non lo sopportavano, scherni e liti erano all'ordine del giorno, la scuola l'aveva mollata presto per andare a bottega dal falegname di Covone di Sotto, il paese più a valle.
    Il mestiere lo aveva imparato in fretta: intagliare il legno gli era sempre piaciuto e aveva delle mani d'oro, ma incuteva paura ai clienti, soprattutto alle donne giovani, perché restava a fissarle voglioso, con quegli occhi strani, uno scuro e l'altro chiaro, e la bocca socchiusa, un po' da matto, per tutto il tempo in cui stavano in negozio, a volte addirittura le seguiva fino a fuori.
    Tornato in paese, i genitori lo avevano tenuto isolato il più possibile: continuava a lavorare il legno, scolpiva statue di tutte le dimensioni, solo busti o sederi di donna, precisavano i testimoni, in continuazione, tranne quando eseguiva lavori su commissione; ma erano i genitori a gestire con i clienti l'ordine e la consegna. Angelo stava sempre solo con i suoi pezzi di legno e gli arnesi.

    I problemi ricominciarono alla morte dei genitori. Prima Anselmo, il padre, un infarto fulminante, l'anno dopo Angiolina, di un ictus, ma, secondo i compaesani, uccisa dal crepacuore a causa di quel figlio. Senza la loro sorveglianza, il Monco tornò a trascinarsi nelle strade del paese, sempre a fissare le belle ragazze, fino a che le urla di queste non attiravano qualche robusto giovanotto a scacciare a botte l'importuno.
    Quando le legnate divennero quotidiane, pure uno strambo come il giovane Angelo capì che era meglio stare alla larga e andò a vivere verso il Bosco Alto, nel vecchio capanno. Costruito ai tempi del trisavolo, era una casetta in pietra, dotata di camino e di angolo cottura, di cui da generazioni gli uomini della famiglia Moncalli si servivano per la caccia. Si era sforzato di renderla più accogliente, trasferendoci un vero letto e qualche comodità. La vendita della casa e dei terreni, una volta estinte le ipoteche, gli permetteva di sopravvivere.
    «Tenete conto che mangia quello che fa crescere nell'orto e quello che caccia... e caccia bene, come un selvaggio», aveva detto Carlo.

    Questa specie di eremita a metà selvaggio, ossessionato dalle donne, che viveva in quasi autarchia a poche centinaia di metri dal luogo del rinvenimento del cadavere, attirò l'attenzione degli investigatori.

    Non era in casa, il Monco, quando i carabinieri, Maresciallo in testa, bussarono alla sua porta. Era in giro per il bosco, alla ricerca di legno per i suoi lavori. Stava parlando con sua madre, come faceva sempre più spesso ormai, cioè, sapeva bene che era morta, ma fingeva fosse lì con lui. Lo faceva sentire meno matto che parlare da solo ad alta voce.
    «Vedi? Questo tocco di faggio sarà perfetto per riparare la sedia, sembra fatt'apposta, eh, Ma'?» diceva, la testa leggermente voltata, come se si rivolgesse a qualcuno alle sue spalle. Per questo non vide subito i carabinieri, intenti a guardare le statue che decoravano l'orto.

    «Buongiorno, lei abita qui? Potremmo farle qualche domanda? In via informale, stia tranquillo.»

    Il Maresciallo sorrideva, ma Angelo cominciò ad agitarsi: le divise non portavano mai nulla di buono. Lo aveva imparato presto, quando sua madre le chiamava per difenderlo dai tizi che lo rincorrevano prendendolo a calci e sassate, dicevano sempre che la colpa era sua, che faceva paura alle ragazzine seguendole con la sua faccia da matto. Si chiese di cosa gli volessero dare la colpa questa volta.
    Forse la donna che aveva incontrato due giorni prima, quella così gentile che aveva bevuto il tè con lui e gli aveva fatto i complimenti per le sue sculture, aveva scoperto di avere dimenticato il guanto e pensavano che lo avesse rubato. Ma non era così, lo aveva solo raccolto da terra, poteva giurarlo, anche se dubitava gli avrebbero creduto. Meglio fare finta di niente.

    «E cosa vuole chiedermi, Dottore?»
    «Volevamo sapere se ha visto una giovane donna, nei paraggi, negli ultimi giorni.»
    «Una donna, qui? Solo quelle che scolpisco,» rispose con un timido sorriso che il Maresciallo non ricambiò.
    «Bionda, sui vent'anni, gran bella ragazza. Di quelle che non dovrebbero girare da sole nei boschi, ci capiamo?»
    «Non dovrebbero? Perché?»
    Il milite non rispose e si diresse verso la porta: «Entriamo? Farà più caldo, in casa.»
    Il Monco avrebbe voluto impedirglielo, ma non sapeva come fare e l'altro già spingeva l'uscio.
    Il capanno contava una stanza sola: Bui non mise molto a notare il guanto in pile rosa, sul cuscino del letto. Angelo avrebbe voluto spiegargli che amava sentirlo sulla guancia per addormentarsi, era morbido e profumato, come lei, la bella ragazza. Ma temeva che non avrebbe capito.

    «E quello? È suo?» Il Maresciallo indicava il guanto.
    Il Monco chiuse gli occhi e mise le mani sulla testa, come faceva sempre quando era agitato e cercava di calmarsi, ma sapeva di non fare buona impressione.
    «Signor Moncalli, il guanto, è suo?»
    «No... È della donna.»
    «Quale donna, questa?» chiese, mostrandogli una foto.
    Angelo sapeva riconoscere un cadavere, aveva trovato lui sua madre, dopo l'attacco. Capiva di essere in una brutta situazione ma ignorava come uscirne. Si lasciò cadere a sedere sul letto, a pochi centimetri dal guanto, poteva sentirne il profumo.

    «L'ha vista, signor Moncalli, è stata qui? Le ha parlato, cosa le ha fatto?» il tono si faceva incalzante, ostile.
    «Io.. no, cioè, sì, l'ho vista... qui davanti..»
    «Davanti a casa sua? Che le ha fatto?»
    «Niente, cioè, guardava una delle mie statue, mi ha detto che era bella. Aveva freddo, le ho detto se voleva entrare... a bere una tisana calda. Le faccio io, con le erbe selvatiche, mi ha insegnato mamma...» Tentò di sorridere, ma l'espressione del Maresciallo era dura.
    «E ha rifiutato?»
    «No... ha detto sì, abbiamo bevuto, io sul letto, lei sulla sedia, ha detto che i miei lavori sono belli. Era gentile.»
    «Le piacevano le tue sculture da perverso? Ci hai provato con lei?»
    «No! Io...»
    Il carabiniere, in piedi, sembrava immenso, mentre lui si sentiva piccolo e meschino, seduto sul letto: incurvava sempre più le spalle e la testa, ormai si guardava le scarpe.
    «No cosa? No, non ci hai provato, o ci hai provato ma lei ha urlato no e tu hai perso la testa, l'hai strangolata. Poi magari l'hai anche violentata, questo ci dirà l'autopsia?»
    «No, le ho solo offerto un tè...»
    «Prima era una tisana!»
    «Sì, un tè, una tisana, mi ha insegnato mamma...»
    «E l'hai uccisa prima o dopo il tè?»
    «No, io..» era sempre più agitato, sentiva freddo, eppure sudava, avrebbe voluto che l'uomo scomparisse per restare solo, bere una tisana e annusare il guanto profumato. Aveva così freddo.
    «Posso accendere il camino?», implorò.
    «Dopo, quando avrai risposto alle mie domande, dopo.»
    Angelo sapeva di essere in casa propria, ma non osava contraddire l'autorità dell'uomo in divisa. Si rannicchiò, sperando di scaldarsi un po'.
    «Allora, la ragazza, l'hai invitata a bere il tè prima o dopo averla uccisa?»
    «Io non... prima, cioè no...le ho offerto un tè, le piacevano le mie statue. Mi ha detto che ero un artista... Posso accendere il camino?»
    «Dopo. Prima rispondi.»

    *



    Arrestato un sospetto nell'omicidio della sconosciuta di Brugnolo. Secondo fonti vicine all'inchiesta, A.M., un trentacinquenne nativo del paese, che vive da anni come un emarginato in una casupola nei boschi, avrebbe confessato.”

    Carlo spense il televisore e chiuse gli occhi un istante: rivide il volto della donna nel momento in cui le stringeva le mani intorno alla gola, così bella, vulnerabile, terrorizzata. Ripensò all'eccitazione, al senso di potere assoluto. Ora che la giustizia aveva un “colpevole”, forse, avrebbe osato rifarlo, se l'occasione si fosse presentata.
    Scosse le spalle: era ora di aprire, i paesani erano in fermento, avevano un sacco di cose di cui parlare e il bar era il loro solo luogo di ritrovo, in un novembre freddo come quello, a Brugnolo.

    Edited by Befana Profana - 20/9/2017, 21:27
     
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    10779 compresi i segni di formattazione che andrebbero tolti dal conteggio (ma io sono pigra)
     
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  3. Befana Profana
     
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    Ma dai? A me diceva 10790, ho tirato via caratteri fino all'ultimo! 🙂
     
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    10750 senza segni di formattazione.
    Word a volte conta gli spazi prima di andare a capo, i segni di a capo e prende parecchi caratteri
     
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  5. Mari.q
     
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    Eccomi a controllare le mie "rivali".
    Bel racconto, bella scrittura.
    Ho apprezzato il colpo di scena finale anche se forse avrei voluto sapere qualcosa di più sul colpevole, ma stare nei limiti dei caratteri è stato faticoso anche per me, quindi capisco perfettamente il motivo.
    Brava
     
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  6. Befana Profana
     
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    In effetti me lo sono posta anch'io il dubbio, ma mi piaceva l'introduzione che presenta luogo e stagione e volevo dare spazio soprattutto al presunto colpevole. Soprattutto che in prima stesura vedo già 1700 caratteri di troppo. Il risultato non mi dispiace, ma non sono del tutto convinta che sia un noir...noir. 🙂
     
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  7. caipiroska
     
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    Ciao Befana Profana,
    lo sai qual è la rogna di questi benedetti racconti con il limite di battute?
    E' che uno non fa in tempo a entrare nella storia che è già l'ora di finirla!
    Uno (io per prima) si focalizza sulla parte iniziale, penalizzando l'intreccio degli eventi e lasciando poco spazio al finale.
    Scusa queste osservazioni, ma leggendo il tuo racconto ho trovato gli errori del mio!
    Che meccanismi strani che ha la mente...
    Se posso farti una critica ho trovato il finale un po'... un po' così.
    Nelle ultime cinque righe sveli l'assassino senza collegarlo bene al resto della storia.
    Un colpo di scena? Chissà, ma non mi ha colpito molto.
    La storia invece è perfetta!
     
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  8. Befana Profana
     
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    Hai ragione, sono le critiche che mi sono fatta anche io ma l'introduzione sul paesino pacifico e sonnolento non ho voluto/saputo rinunciare. Sul finale ero proprio limitata dalle battute (all'inizio ne avevo quasi 2000 in più) e pensa che nella mia mente era ancora più indefinito, perché doveva restare un uomo non meglio identificato che guardava la TV e si sentiva sollevato. Solo in extremis ho pensato di identificarlo con chi per primo aveva additato il sospetto ideale.
    Per lasciare più spazio a lui dovevo toglierne al Monco, lo so che hai ragione, ma niente... mi era venuta così. Sto pensando da ieri a una versione lunga, a puntate da più punti di vista. Ma non qui. Pazienza per la gara. 🙂
     
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  9. Mioalterego
     
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    bella scrittura, bella atmosfera quando c'è l'interrogatorio: la descrizione del povero monco sotto la grandinata di domande incalzanti è ben fatta, anche io sono rimasta un po' disorientata dal finale: quel Carlo buttato lì con poche righe per il movente mi ha spiazzata, ma il racconto è avvincente anche se avrebbe meritato un più ampio respiro( più caratteri) per uscire completamente e in modo perfetto. Brava.
     
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8 replies since 20/9/2017, 16:15   92 views
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