Olimpiadi Letterarie

Quel lontano pianeta Terra

Gruppo Fiori - fantascienza

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  1. Giovievan
     
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    Anno 2272

    «Forza, Ronnie, dicci cosa hai scoperto.»
    Ronnie annuì. Aveva aspettato quel momento per tutto il giorno, consapevole che quella sera, come mai prima di allora, la curiosità dei suoi amici sarebbe stata ripagata. Quella era una vera svolta.
    Quattro occhi si puntarono su di lui facendolo arrossire di colpo. Era sempre stato timido, ma quella volta fremeva.
    «Ho delle notizie.»
    La voce gli tremava. Non seppe se quell’effetto fosse dovuto al suo disagio o a ciò che stava per rivelare, qualcosa che doveva restare segreto. Che non avrebbe dovuto sentire.
    «Mia madre e mio padre. Credevano che stessi dormendo, anzi, hanno proprio aspettato che mi addormentassi e si sono chiusi in cucina. Si sono persino messi a parlare a bassa voce, nel caso in cui stessi ascoltando.»
    «E tu stavi ascoltando» incalzò Jenny. Ronnie scosse il capo facendo ondulare i capelli scuri, che sembravano bluastri alla luce di Alpha-Dominio.
    «Non io. Lui.»
    Tirò fuori dalla tasca un oggetto liscio, nero, del tutto privo di pulsanti. Se lo rigirò nel palmo mentre gli occhi dei suoi compagni ne erano attratti come da una calamita.
    «Hai registrato?»
    Dean era incredulo. I suoi occhi sbarrati si intravedevano appena oltre le sottili lenti in equilibrio sul suo naso, che riflettevano la luce di Alpha-Dominio come specchi.
    «Tu sei pazzo, amico!» rise Jenny, ma la sua risata era isterica. «Se ti scoprono ti fanno sparire!»
    «Ecco perché devo cancellarla subito.»
    Il suo tono era eloquente. I ragazzi erano consapevoli che ascoltare quella registrazione li avrebbe messi in pericolo: anche solo pronunciare il nome Terra era pericoloso, se arrivava alle orecchie sbagliate, ma la curiosità iniziava a farsi sentire e lo scalpitare dei loro cuori parlò al posto loro. Annuirono, anche se con poca convinzione.
    Ronnie tremava, ma aveva più coraggio degli altri: in ogni caso sapeva, quindi era già condannato. Sfiorò lo schermo.
    Il silenzio di quei secondi fece calare il gelo. I ragazzi non osavano spostare gli occhi dallo smartphone, lo scivolo che li avrebbe condotti dritti all’inferno. Poi, le voci.
    «Non avrei mai dovuto seguirti
    «Ne parliamo quasi ogni giorno, Lucy. Basta. Per favore.»
    «Avrei dovuto morire! Io non ce la faccio più!»
    La donna sbatté un pugno contro qualcosa, forse un tavolo o un bancone da cucina. Qualche oggetto rotolò e andò in mille pezzi. Il rumore del vetro spaccato sfumò nel suono dei singhiozzi di lei.
    «Vuoi farti scoprire, porca troia? Perché se continuiamo così ci scoprono, te lo assicuro!»
    «Non me ne frega un cazzo, James» sputò la donna tra i denti, ma a dispetto delle sue parole tenne la voce bassa. «Io non ho mai voluto tutto questo. Mai. Tu mi hai condotta qui e io ti odio, cristo! Ti odio!»
    «Lucy…»
    Passi. L’uomo doveva aver avanzato verso di lei per consolarla, ma fu ovviamente respinto.
    «Non mi toccare» ringhiò lei. «Non costringermi a urlare o sveglierò Ronald.»
    «Sai cosa succede se ci sente
    «Cosa? Ciò che sarebbe successo a me se non ti avessi seguito?»
    Il tono era sarcastico, mirato a ferire. L’uomo non parve scosso da quelle parole, ma Jenny e Dean sgranarono gli occhi.
    «È per lui che devi tenere duro, Lucy. Non per te, non per me. Imbarcarci ci ha salvato la vita e ha garantito a Ronald un futuro, questo non dimenticarlo mai
    Singhiozzi e lacrime represse. La registrazione vibrava d’odio. Poi un sussurro appena percettibile, ma tagliente come una lama.
    «Vaffanculo, James. Tu e questa nave del cazzo.»
    Passi, una porta che sbatteva. Sospiri. Il frigo si aprì, poi si richiuse, il padre di Ronnie bevve qualcosa, dopodiché anche lui uscì e la registrazione si perse nel silenzio.
    Ronnie sfiorò lo schermo, interrompendola.
    «Santo cielo…» sussurrò Jenny. «Allora è vero… è tutto vero…»
    Dean annuì, ma Ronnie lesse il terrore nel suo sguardo. Poteva comprenderlo. Per metà della loro vita gli era stato insegnato a immaginare la Terra come un’invenzione curiosa, un luogo partorito dalla fantasia di qualche autore dei milioni di tomi stipati nella Grande Biblioteca. In qualche romanzo, perlopiù di narrativa, erano persino presenti luoghi dai nomi immaginari come New York, Calcutta, Sydney, Roma; i tre ragazzi avevano sempre immaginato che qualcuno di quei posti avrebbe potuto appartenere al pianeta sconosciuto. Ora che avevano quindici anni, dopo ormai cinque anni o più di ricerche silenziose, di indagini nell’ombra, di silenzi e sussurri, di conversazioni origliate e bugie, finalmente si ritrovavano a sentirne parlare come se fosse stata un luogo vero, palpabile. E ancora una volta come se la sua esistenza dovesse restare un segreto.
    «Ha detto che l’hanno costretta ad abbandonarla o sbaglio?» sussurrò Dean, rompendo il silenzio.
    Jenny annuì. «Ha anche detto che l’hanno minacciata. E che Ronnie non deve sapere nulla o lo ammazzano. Questo vuol dire solo una cosa: abbiamo la conferma di tutte le informazioni raccolte.»
    Questa consapevolezza mise a Ronnie una strana agitazione.
    «Quindi ricapitoliamo» continuò Jenny. «C’è un pianeta chiamato Terra. Ed è un vero pianeta. La nave spaziale Ruco è partita da lì e alcuni degli abitanti sono stati costretti a imbarcarsi. Cos’altro sappiamo?»
    «Che l’esistenza della Terra doveva restare un segreto» aggiunse Ronnie. «Ma perché?»
    «Mi sembra ovvio, Ron. Rifletti: noi siamo nati qui, siamo cresciuti qui e siamo stati costretti a credere che questo sia l’unico mondo possibile. Che interesse avrebbero a fare una cosa del genere, se la Terra non rappresentasse in qualche modo un pericolo?»
    «Sappiamo anche che la Ruco è diretta verso un nuovo pianeta» aggiunse Jenny. «Camilla. Questo vuol dire che abbiamo abbandonato la Terra di proposito.»
    Un brivido corse lungo la schiena di Ronnie. La sensazione che aveva sempre avuto da quando per la prima volta aveva scoperto che la Ruco era in viaggio, la sua più grande fobia, si faceva sempre più reale a ogni attimo.
    «Io ve l’ho già detto come stanno le cose. Siamo delle cavie. Ci stanno mandando a morire.»
    «Ti ho sempre smentito, Ron. Ma ora che ho sentito… penso che stavolta… stavolta potresti aver ragione.»
    Tutto tornava. Tutti i pezzi si incastravano e si stabilizzavano assieme come se fino ad allora fossero stati un arco a cui mancava la pietra di volta.
    «Ricordi quando ho sentito mia madre dire che l’erba qui le causa allergia mentre “quella di casa sua era tutt’altra cosa?”» domandò Jenny. «Tutto quello che vediamo è un surrogato della Terra. E ci hanno costretti a nascere qui per un motivo…»
    «Colonizzare Camilla.» concluse Dean. «Ed è una missione.»
    Calò il silenzio. Soltanto Alpha-Dominio fu testimone quando il gruppo si sciolse e i tre ragazzi si diressero ognuno verso la propria casa. Persone diverse da quelle che si erano sedute; persone consapevoli.

    Persino l’erba finta era diventata insopportabile ora che sapeva che, da qualche parte nell’universo, ce n’era una reale.
    Dean si guardò intorno: i lampioni erano spenti e i Giardini, il grande bosco più lungo che largo che percorreva l’area orientale della Ruco in tutta la sua immane lunghezza, erano illuminati. La Bolla, la cupola atmosferica che ricopriva la città volante, lasciava filtrare i raggi riflessi da Alpha-Dominio, l’immenso asteroide che accompagnava il loro viaggio da un po’ e rubava la luce a qualche stella vicina. Probabilmente i pannelli fotovoltaici montati su ogni tetto stavano succhiando quei fotoni con avidità, pronti a utilizzarli nei periodi di buio.
    D’improvviso la Ruco non gli parve più tanto sicura com’era sempre stata, e quell’asteroide così vicino gli sembrò una vera minaccia, nonostante la squadra di piloti avesse rassicurato l’intero equipaggio che la rotta era finemente calcolata prevedendo ogni possibile ostacolo. Ogni cosa in quel momento pareva agitarlo, ma ciò che più lo inquietava erano Jenny e Ronnie. Per Ronnie arrivare tardi era un’abitudine, ma Jenny non tardava mai al loro appuntamento al falò.
    Dean guardò l’orario sul suo smartwatch e si ripromise che avrebbe aspettato altri cinque minuti prima di andarli a cercare, ma non fu necessario. Qualche minuto dopo vide delle figure in lontananza, e gli bastò poco a capire che si avviavano nella sua direzione.
    Si alzò in piedi, osservandoli. Erano tre uomini, e si mimetizzavano perfettamente con la vegetazione grazie alle loro tute a specchio. Solo un corpo cittadino indossava quel tipo di tute: le Sentinelle.
    Dean si sentì improvvisamente in pericolo, ma mostrarsi agitato avrebbe solo peggiorato la situazione. Forse non venivano per lui, e anche se fosse stato, dove credeva di fuggire? Una città volante in bilico nello spazio aperto non offre molte vie di fuga.
    Le Sentinelle gli si avvicinarono, circondandolo come un animale braccato.
    «Dean Sampson?»
    Il ragazzo avrebbe voluto negare, ma il capo non rispose ai suoi comandi e si ritrovò ad annuire. Uno degli uomini gli si avvicinò, la mano destra in tasca. Dean sapeva che stringeva un taser.
    «Ti faremo un discorso veloce» gracchiò l’uomo dietro la maschera liscia che rifletteva il suo volto. Prese fiato. «Questa città è sacra e deve restare serena. C’è già troppa merda che ribolle. Elementi come te e i tuoi due amici non possono esistere.»
    Un altro si fece avanti. I loro visi coperti dalle maschere a specchio permettevano loro di vederlo, ma non il contrario.
    «I tuoi amici hanno capito subito. Siete ragazzi promettenti, e noi non siamo macellai, quindi non vi faremo del male, non temere. Mi capisci se ti dico che questa storia non puoi raccontarla, vero?»
    Dean annuì con una vibrazione del capo; il terrore gli aveva paralizzato i muscoli. Il terzo uomo rimaneva lì, fermo, pronto a saltargli addosso se avesse osato fuggire.
    «Bene. Bravissimo, Dean. Potete continuare a vedervi, se volete, non fraintendeteci. Se non farete nulla di male non avrete nulla da temere.»
    Si voltò, seguito dagli altri due. Mentre le Sentinelle sparivano nel folto del bosco Dean seppe che l’avrebbero ucciso senza pietà, se solo avessero voluto.

    Ronnie era piegato in due, spezzato dai singhiozzi e dal senso di colpa che gli attanagliava il petto. Suo padre era ancora in piedi, nello stesso luogo in cui era rimasto impietrito quando l’avevano portata via.
    «Lucy…» sussurrava.
    Gliel’avevano detto di non opporsi. L’avevano avvisata di cosa sarebbe accaduto se avesse resistito, ma a lei non importava più nulla. Si era gettata a terra, aveva pianto, li aveva insultati, gli aveva sputato. Non avrebbe collaborato. Così l’avevano portata via. Per rieducarla o ucciderla, non potevano saperlo.
    Il padre di Ronnie non capiva come fosse potuto accadere, ma Ronnie sapeva. Ronnie l’aveva condannata a morte.

    La luce di Alpha-Dominio fu presto oscurata e il buio tornò a incombere sulla città volante dei sopravvissuti, che aveva abbandonato la Terra prima della sua autodistruzione.
    Ma Ronnie, Dean e Jenny non si incontrarono mai più ai Giardini.
     
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    complicatrice

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  3. MyaMcKenzie
     
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    Si respira un'atmosfera da cospirazione post-apocalittica.
    Mi hai fatto morire con la frase [...]erano persino presenti luoghi dai nomi immaginari come New York, Calcutta, Sydney, Roma[...] Mi sono venuti i brividi.
    Peccato per il limite caratteri perché mi hai lasciato con la curiosità di sapere cosa succede alla madre e ai ragazzini.
    Fossi in te, Gio, lo svilupperei, verrebbe fuori un buon racconto lungo ;)
     
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  4. Giovievan
     
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    Mya! :wub: in realtà questo è il "sequel" di un racconto pubblicato nella mia raccolta, quindi non nego che l'idea di farne un vero e proprio romanzo mi ronza in testa da un po'... credo proprio che alla fine qualcosa ne verrà fuori. Grazie per l'incoraggiamento :wub:
     
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  5. Mioalterego
     
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    Si respira un'atmosfera di suspence, ben descritto e caratterizzato, ho un'antagonista (ho scritto anche io in questo gruppo Fiori) di rispetto. Brava.
     
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4 replies since 20/9/2017, 22:53   68 views
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