Olimpiadi Letterarie

LamelAdoro

girone QUADRI - genere HIGH FANTASY

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  1. dalcapa
     
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    La mela era custodita dentro a uno scrigno tutto d’oro e lo scrigno era in fondo a un pozzo e questo pozzo era all’interno di una caverna che si trovava nel profondo di un crepaccio e questo crepaccio era vicino alla più alta vetta delle montagne dell’isola di Avalon, l’isola delle mele. L’isola di Avalon era nel mezzo dell’oceano. Anche se mai uomo era arrivato al cospetto dello scrigno, c’era chi giurava che di guardia al pozzo ci fosse un drago gigantesco. La mela era ricoperta da lamine finissime d’oro, d’argento e di bronzo. I suoi riflessi si dice potessero incantare e stregare chiunque si fosse imbattuto in quel gioiello. La leggera lamina d’oro, d’argento e di bronzo ne proteggeva la polpa.
    La mela non era una semplice mela. Dentro di lei era racchiusa tutta la conoscenza del creato. Si dice che da lei avessero avuto origine il bene e il male e che quella fosse la mela del giardino dell’Eden. La leggenda racconta di un angelo che anziché custodirla la lasciò cadere sulla terra. Dio si arrabbiò tantissimo con l’angelo, lo trasformò in serpente e lo cacciò dal paradiso ordinandogli di non tornare finché non l’avesse ritrovata e riportata in cielo.
    L’angelo serpente scese sulla terra e anziché trovare la mela e riportarla a Dio, la offrì all’uomo.
    Bastò un morso
    e la morte, il dolore e le tenebre scesero sulla terra
    e poi, della mela, non si seppe più niente
    fino a quando…
    Migliaia d’anni dopo una mela cadde nel mezzo di un banchetto. Si festeggiava il matrimonio fra Peleo e Teti. Sulla mela era incisa una frase:
    Alla più bella.
    Erano invitate al banchetto Afrodite, Era e Atena. Queste cominciarono a litigare per chi dovesse meritarsi quella mela. Chiamarono in causa Zeus ma lui non voleva prendere la parte di nessuna delle tre. Chiesero allora a Paride, il principe di Troia. Ciascuna di loro cercò di aggraziarselo con promesse di potere e ricchezza, ma egli cedette alla sola Afrodite che gli promise l’amore della bellissima Elena, ma fu la rovina. A causa di quell’amore a Troia si scatenarono guerra e morte.
    Nessuno mai seppe veramente come fosse arrivata quella mela nel mezzo del banchetto. Alcuni diedero la colpa a Eris, dea della discordia, ma tanti altri giurarono che subito dopo la furibonda lite fra le dee un serpente gigantesco addentò la mela e scappò via.
    Gli anni passarono, scoppiarono guerre e carestie, epidemie e cataclismi. Ovunque il serpente lasciava tracce del suo passaggio. Cresceva. Si cibava di rovine e distruzione, di dolore e disperazione. Cominciarono a raffigurarlo ai piedi della Beata Vergine, la testa schiacciata dal suo calcagno. Leggende e racconti narravano gesta di eroi e cavalieri che lo combattevano e lui, ormai, aveva raggiunto le dimensioni di un drago e la mela lo seguiva ovunque lui lasciasse il suo segno.
    Al piccolo Artù piacevano tantissimo le leggende. Artù era un pastore. Pascolava le pecore del padre e tutti i giorni si recava nel grande prato al cui centro sorgeva un gigantesco melo. Artù era un bimbo curioso e goloso, golosissimo, di mele e leggende. Trascorreva il suo tempo arrampicato sul suo albero. In braccio teneva Nerina, il suo agnello preferito. Raccoglieva mele, mangiavano mele, e ascoltava. Ascoltava i racconti dei viaggiatori che sotto quel melo si fermavano per godere la sua ombra e i suoi frutti. Una mela per un racconto. Era questo il suo tariffario. Venne così a sapere che esisteva un giardino dove sorgeva un albero di pomi d’oro, il giardino delle Esperidi, e che un grande drago proteggeva l’albero. Ascoltò la storia di Eracle e Atlante che sosteneva la volta celeste, la storia del pomo della discordia e di Paride e di Elena e delle dee litigiose, sentì narrare del paradiso terrestre, di una mela che portava in sé la conoscenza di tutto l’universo e di Adamo ed Eva cacciati dal giardino dell’Eden e di principesse e di mele avvelenate. Una mela per una storia.
    Capitò un giorno, sotto il melo, uno strano personaggio. Un grande cappuccio gli copriva la testa. Non si vedeva il volto, ma strani lampi di luce parevano provenire da dove dovevano essere gli occhi. Lo straniero si sedette ai piedi dell’albero e da una sacca che portava in spalla tirò fuori piccoli sacchetti di pelle. Da ciascuno estrasse piccoli oggetti. Sassolini, pietruzze trasparenti, una ciotolina e una piccola borraccia in pelle d’asino. Sistemati gli oggetti a terra, versò uno strano liquido rosso nella ciotola.
    Mela rossa, mela verde, mela gialla, mela d’oro,
    io ti cerco, io ti voglio, io ti bramo, io ti adoro,
    giaci nel fondo del crepaccio più profondo
    in Avalon dalla vetta più alta
    la pecora nera nel pozzo salta
    il grande drago ti protegge,
    come il piccolo pastore il suo gregge
    ma ci sarà chi, con un gran sacrificio,
    ti libererà dalla sua guardia e dall’ingiusto maleficio.
    Pecora bianca, pecora nera,
    ascolta la mia storia,
    perché è una storia vera…
    Lo straniero lasciò cadere i sassolini nella ciotola e il liquido rosso cominciò a ribollire mentre una piccola colonna di fumo si levò verso l’alto. Il piccolo Artù, nascosto in mezzo ai rami, cominciò a tossire. Lo straniero alzò lo sguardo e lo vide.
    Ehi, piccolo impiccione, che fai nascosto lassù in mezzo ai rami? Mi stai forse spiando?
    Non sono nascosto, sei tu che ti sei seduto ai piedi del mio albero e hai disturbato il mio riposo!
    Il tuo albero? Oh bella, questo albero è tuo? Oh, scusa, giuro che non avevo visto il cartello che ne segnava la proprietà! Ah, ma forse tu sei il famoso Artù, padrone del melo che fa le mele più buone del regno e che per una storia è disposto a regalarne una?
    Beh, sì, ma non so se ho voglia di sentire una storia raccontata da te.
    Un lampo balenò da sotto il cappuccio dello straniero e per un attimo ad Artù parve di vederne i lineamenti deformi e orribili.
    Dammi una mela e lo vedremo.
    Artù lasciò cadere un frutto. Lo straniero lo prese al volo e guardando verso l’alto sorrise.
    Vedo grandi cose nel tuo futuro, piccolo Artù.
    Artù intravide il bianco dei suoi denti, poi il rumore di un morso e un lampo di fuoco e fiamme. Lo straniero era scomparso. Al suo posto, ai piedi dell’albero, erba bruciata e una chiave d’oro. Nell’aria odore di zolfo.
    In pochi giorni l’albero si seccò e non ci furono più mele e non ci furono più storie. Il piccolo Artù cercò altrove prati e pascoli per il suo gregge e fu così che un giorno si imbatté in una spada impiantata in una roccia.
    Artù divenne re giusto e saggio. Gli anni passarono, e il suo regno prosperò. Invecchiato, Artù aveva ormai scordato il suo melo, le storie e lo strano personaggio che un giorno aveva cambiato la sua vita. La chiave d’oro che portava al collo era ormai solo un vecchio portafortuna le cui origini si erano perse nella nebbia degli anni. Artù aveva al suo servizio grandi cavalieri, aveva sposato una splendida donna facendola regina, per anni aveva inseguito la leggenda del Sacro Graal, aveva regnato con nobiltà e la sua vita volgeva serenamente al termine, poi, un giorno, seduto con i suoi cavalieri alla tavola rotonda, una mela scivolò verso di lui. La prese, la morse e le parole tornarono nella sua mente.
    Mela verde, mela rossa…
    Di Avalon la vetta più alta
    Il tesoro…
    Artù chiamò a raccolta i suoi più fidati cavalieri, chiamò a raccolta consiglieri e indovini, Artù chiamò a raccolta le sue ultime forze e partì, per l’isola di Avalon.
    Arrivato ai piedi dell’alta montagna Artù cominciò la faticosa salita e fu solo. Nessuno della sua corte, cavalieri, soldati, fidati aiutanti, riuscì a fare un solo passo sulle pendici del monte. Una strana forza impediva loro di muoversi, di camminare, di volare, sì, perché Artù era come se volasse, ogni passo che faceva nuove forze sostenevano la sua salita. Artù si arrampicava con agilità e leggerezza ed era come se gli anni scivolassero via dal suo sangue, dai suoi capelli, dalle sue ossa. Arrivato in cima Artù era tornato il bambino che sopra l’albero ascoltava storie mangiando mele. Arrivato in cima c’era il suo gregge che lo stava aspettando. Il gregge guidò Artù sull’orlo del crepaccio. In fondo poteva intravedere l’ingresso di una grotta. Le pecore si lasciarono cadere sul fondo e Artù, presa in braccio Nerina, la sua pecora preferita, si lasciò cadere con loro. Malgrado il volo altissimo, Artù arrivato a terra si rialzò incolume. Nell’angolo, a fianco della grotta, il grande drago si stava cibando delle pecore morte. Il drago si girò verso Artù. Si guardarono. Artù riconobbe nel suo sguardo i lampi che tanti anni addietro intravide negli occhi dello straniero. Artù gli mostrò la chiave che portava al collo. Il drago sbuffò fuoco e fiamme. Riconobbe lo stesso odore di zolfo. Il sacrificio. Artù mise a terra Nerina che subito corse dentro la grotta inseguita dall’enorme animale. Li inseguì correndo, ma era più lento di loro. D’improvviso un boato fece tremare le pareti della grotta e un lampo ne illuminò la volta. Arrivato in fondo intravide la coda del drago uscire da un pozzo, ma il drago era già scheletro e le sue ossa scalini per scendere giù fino nelle più oscure profondità. Artù scese lentamente, vertebra per vertebra. Una nuova caverna si aprì davanti a lui. Delle torce, incendiatesi con il fuoco sputato dal drago, illuminavano le pareti. Lì trovo Nerina che si abbeverava ad un calice incastonato di diamanti e pietre preziose, un piccolo serpente si agitava sotto il suo zoccolo. Il Sacro Graal, pensò Artù, ma non era per lì per quello. In fondo alla grotta uno scrigno. Artù si tolse dal collo la chiave d’oro e la infilò nella serratura e poi aprì. La mela, la mela d’oro era lì, depositata fra seta e velluti. Artù la raccolse delicatamente fra le sue mani e poi
    tutta la conoscenza, la storia dell’uomo, il bene e il male
    i viaggi, le scoperte, il passato e il futuro
    e poi
    svenne.
    Quando riaprì gli occhi era steso, solo, sulla spiaggia dell’isola di Avalon, nella mano la mela e nelle ossa, nel sangue, nei suoi capelli, tutti i suoi anni. Del suo esercito e dei suoi cavalieri nessuna traccia.
    Artù guardò la mela e capì. Lasciò che la mela rotolasse lentamente verso l’oceano fino a venire inghiottita dalle onde. E poi morì.
    Anni e anni dopo un bambino di nome Gualtiero trovò la mela in riva a un fiume. Suo padre Guglielmo, poco lontano da lui, aspettava con una balestra in mano. Il bambino raccolse la mela e la pose sulla sua testa e in quel momento fu investito da tutta la conoscenza del mondo e una cosa soprattutto gli piacque, Zenone che diceva che una freccia anche se appare in movimento, in realtà, è immobile. In ogni istante occupa solo uno spazio e poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi, per sempre.
    E la freccia non raggiunse mai Gualtiero e lui e la mela furono salvi, per sempre.
    Si racconta poi che un angelo serpente rubò ancora la mela, ma questa è un’altra storia.
     
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  3. Joyopi
     
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    Dalcapa, siamo avversari ma credo che questo non impedisca di esprimere giudizi e critiche, siamo tra amici! :)
    Riconosco nel tuo racconto uno stile molto personale, maturo e capace di giocare con i tempi narrativi, diluendo e rallentando il ritmo. Ottimo lessico, inoltre. Nel merito della trama, però, devo dirti con sincerità che c'ho capito poco! ;)
    Forse è più simile a una fiaba o un racconto mitologico (infatti giochi con miti religiosi e non e leggende, dimostrando una bella cultura sull'argomento) che a un high fantasy, almeno per come l'ho inteso io, probabilmente sbagliandomi.
    Il tema della mela è centralissimo e sviluppato in modo originale.
     
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2 replies since 29/9/2017, 17:08   51 views
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