Olimpiadi Letterarie

Così è la vita

SFIDA 6 GENERE. monologo TEMA: prigione

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  1. Mari.q
     
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    Così è la vita

    Ah la libertà! Cosa c’è di più piacevole che poter dire di essere liberi? Ma lo siamo poi veramente? Io mi sento tutto tranne che libera. Da quando sono nata sono stata in una specie di prigione: dorata, s’intende, ma pur sempre di prigione si trattava. Ero la piccola di casa ed ero coccolata e vezzeggiata da tutti, ma non potevo fare assolutamente nulla. “Attento alla bimba, si sta alzando in piedi!” E che dovevo fare? Stare sul tappeto a gattonare in eterno? “Non farla uscire in giardino che si sporca tutta!” Solo Dio sa quanto avrei voluto rotolarmi nell’erba con i miei cuginetti! “Aiuta tua sorella a mettersi seduta.” Mentre io avrei voluto stare in piedi e correre ovunque. “Devi dormire nel tuo lettino!” Odiavo quel letto con le sbarre, mi dava la claustrofobia anche quando non sapevo cosa fosse.
    Poi sono diventata più grandicella e ho finalmente conquistato la libertà! Ehm no, affatto! Mi tenevano tutti i giorni in una specie di lager che chiamavano asilo… certo l’asilo avrei dovuto chiederlo per potermi rifugiare all’estero e sfuggire da quelle suore: tanto carine quando c’era mamma, quanto terrificanti in sua assenza. Però è durato solo tre anni e poi… la scuola elementare, della serie "dalla padella alla brace", certo le suore bipolari non c’erano più, ma la maestra schizzata sì, che incubo!
    Finite le scuole elementari pensavo di aver pagato il mio conto e che mi avrebbero scarcerata, invece mi hanno ingabbiata alla scuola media che, all’apparenza, era meno costrittiva ma, appena ambientata, si è rivelata essere un carcere di massima sicurezza, con tanto di secondini (armati di secchio e straccio) che ci controllavano persino quando andavamo in bagno: una vera e propria angoscia.
    Alle superiori però la storia è cambiata, non c’era tutto quel controllo ossessivo, eravamo finalmente liberi di girare per i corridoi dell’istituto, potevamo addirittura decidere di bigiare le lezioni e andare a zonzo per la città! Ma lì è cominciata una nuova detenzione, la prigione 2.0: la tempesta ormonale. Non era un carcere fisico ma mentale: chi si sentiva troppo grasso e di solito era un’acciuga; chi aveva un piccolissimo difetto fisico che allo specchio diventava enorme come una montagna; chi aveva in faccia una tale concentrazione di foruncoli che a stento si decideva a uscire di casa. All’anima della libertà!
    Poi, come tutte le cose spiacevoli della vita che fino a quel momento ti sembravano impossibili da sopportare (ma che una volta visto il dopo cominci a pensare che non era poi tanto male), tutto passa e arriva un tizio che, come te, sembra uscito da un bombardamento cosmico. Probabilmente ha i capelli lunghi e trasandati, i jeans calati fino a metà sedere, felpe di tre taglie più grandi, con una cosa sola in testa: il sesso. Non fa altro che pensare a quello mentre mangia, mentre cerca di studiare, mentre gioca ai videogame, mentre fa la doccia (in realtà non si lava, ma ci passa un’eternità), mentre legge (di solito riviste educative sull’argomento) e fa a gara a chi riesce a farsi una delle compagne prima dell’altro. Fa anche sfoggio di molta creatività inventando particolari audaci di fantomatiche performance mai avvenute, solo per vantarsi con gli amici. E noi, povere ragazze di liceo (a parte un gruppetto di assatanate di sesso che si farebbero anche il bidello con l’occhio di vetro), a combattere col coltello tra i denti per conservare quel po’ di candore che tanto ci hanno raccomandato di tenere, non certo per un discorso morale o religioso, ma semplicemente perché l’idea di entrare in intimità con un individuo con l’acne, l’apparecchio per i denti, i jeans calati e che probabilmente soffre di eiaculazione precoce è semplicemente orribile.
    Se sopravvivi al liceo è fatta, mi dicevo mentre lo frequentavo. Invece, finita quella detenzione ce n’è un’altra, sempre diversa, ma non meno opprimente. Prima la pressione degli esami che incalzano, poi l’ansia della tesi: una vera agonia. Infine, dopo tanto sudore e fatica e con un bagaglio culturale che faresti invidia a chiunque, arriva il carcere a vita: il lavoro. Intendiamoci: solo se sei molto fortunato, altrimenti nemmeno lo trovi e, a quel punto, è la depressione a tenerti in gabbia.
    Il lavoro, dicevo: già, dei super qualificati e plurilaureati con master in specializzazioni altissime che poi, se ti va di lusso, stai alla cassa al McDonanld’s, se ti va male friggi le patate tutte le sere… che soddisfazione però avere nell’armadietto, accanto al cappellino, la tua foto con l’alloro in testa!
    Ma non va sempre così, a volte qualcuno riesce a trovare il lavoro per cui ha studiato tanto, soprattutto se va all’estero e non rimane che una cosa da anelare: la pensione. Quello è il traguardo, il Sacro Graal, la meta più ambita. Già, però ci arrivi a settant’anni, con la sciatalgia che ti impedisce di muoverti, il fegato spappolato dai fumi dell’olio bruciato del Mc, o da qualunque cosa tu abbia assorbito in ambito lavorativo, ma soprattutto con la consapevolezza che tutto quello che ti sei perso durante la tua misera esistenza, non potrai certo recuperarlo in quelle condizioni fisiche. È così frustrante essere imprigionato in un corpo che non fa più quello che vuoi tu, ma solo ciò che vuole lui. Cominci a perdere alcune abilità che avevi dato per scontato fino a qualche mese prima, hai problemi a trattenere anche le più basilari funzioni corporee… e poi perderai la memoria, e allora, forse, sarai libero. Perdendo la consapevolezza di sé, se ne andrà anche la sensazione di aver vissuto prigioniero di qualcosa per tutta la vita. Comunque devo smettere di bere: quando sono brilla non rido come le persone normali, divento lugubre, tra l’altro sono in ritardo per andare al lavoro: oggi sono di turno alla postazione del McDrive.
     
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  2. Iena Plinsken
     
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    Ciao, avversaria diretta. Avevo già avuto modo di leggere che eri una tosta. E questo tuo monologo lo conferma. Un excursus reclusivo che dalla tenera età arriva fino a un McDrive.
    Ho trovato geniale l'ottica della libertà conquistata con la perdita della memoria. La suora bipolare poi mi ha strappato un sorriso e un ricordo. Ma no, io sono stato più fortunato. All'asilo avevo la mia suora preferita. La chiamavo Suor Patatina, perché mi dava sempre le patatine.
    Complimenti e uno sportivo in bocca al lupo per la gara (ovviamente l'ho digitato con le dita incrociate) :)
     
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  3. Mari.q
     
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    Ahahaha ci siamo commentati in contemporanea. Grazie mille e in bocca al lupo anche a te.
     
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  4. Achillu
     
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    Ciao Mari.

    La scelta del tema è poco originale, ma l'importante è di aver trovato un modo divertente per affrontarlo. Mi hai intrattenuto soprattutto con gli episodi dell'infanzia.
     
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  5. Andrea2890
     
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    Mi accorgo solo ora di non averti lasciato un commento (il racconto l'avevo già letto, naturalmente).
    Un esposizione di vita in salsa agrodolce. Non mi è dispiaciuta affatto. Originale come hai sfruttato il tema "prigionia". La vita è una prigione, triste ma spesso vero.
    Forse avresti potuto sviluppare di più e diversamente la questione "tempesta ormonale" che era quella che presentava maggiori spunti comici. Carino il finale, più amaro che dolce.
    Buona prova.
     
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  6. Salvatore Russotto
     
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    Ciao carissima Mari,
    come sempre ti ho letto con piacere. E con piacere ho ritrovato il tuo versatile talento scrittevole cheti permette di esprimerti nei più svariati generi.
    Domandina... "mentre legge (di solito riviste educative sull’argomento)", per "educative" tiriferivi a Playboy? Hai voluto rendere omaggio alla memoria del suo fondatore?
    Bel racconto, l'ho letto quasi tutto sorridendo... be', l'ultima parte l'ho letta con una mano sugli zebedei per scaramanzia :D
     
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  7. Joyopi
     
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    Bello, non comicissimo, ma fa sorridere in più punti. Buon sviluppo del tema e soprattutto con il finale credo ti sia meritata una mia monetina! :)
     
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  8. Eudes
     
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    L'ho trovato carino, mi ha fatto sorridere, però finale a parte, un po' prevedibile.

    Cioé, alla fin fine, le "prigionie della vita" son quelle, quindi si intuiva su cosa saresti andata a parare.

    Solo con la perdita della memoria come conquista della libertà hai puntato su un concetto che spiazza davvero.

    Se inserisci, qua e là nel testo, altre riflessioni dello stesso tenore, penso che il racconto, da buono quale già è, possa diventare ottimo.
     
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7 replies since 29/9/2017, 21:05   75 views
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