Olimpiadi Letterarie

Due cuori

Gruppo Quadri - High fantasy

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    Vessatore di pterodattili

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    Due cuori

    Nebel fissava il vuoto, seduta sul piccolo scranno che le era stato destinato nella grande cattedrale: vuota, illuminata da fasci di luce e dal candore della sua veste lunga, dei capelli chiari e raccolti. Il viso, suo malgrado ancora bambino.
    Cominciava a sentire i primi sintomi del malessere, quel fastidio vago che le era stato descritto solo in modi pittoreschi. Deglutì, le labbra asciutte.
    Fuori dalla cattedrale poteva sentire i suoni della guerra. Il clangore dell’acciaio.
    La punizione di antichi dei: mille anni di guerra per un seme, un seme che è la cura al male stesso, al conflitto eterno.
    L’emozione di un attimo, la paura del futuro.
    Un seme che si è fatto pianta.
    Una pianta che è diventata frutto
    .
    Brivido.
    Un singolo frutto, l’Oroangelo, per ripristinare l’equilibrio del mondo.
    Nebel alzò il capo verso la donna che attendeva, assisa a sua volta, tetra, la veste azzurra e i paramenti regali. “Non mi sento bene, signora”, scandì.
    Galena, regina di Soveralda, ammiccò greve. “È tempo di andare, ragazza. Poni fine a questo lungo incubo”.
    “Ma voi…?”.
    “Resterò qui, a rallentare il Patto”. Pausa tetra. “Ricorda, Nebel: non consumerai l’Oroangelo prima che il rosso orologio abbia mandato il suo messaggio”.
    Nebel annuì, pallida; si alzò e s’incamminò verso l’abside, a piccoli passi, la testa voltata di continuo a guardare colei che l’aveva protetta per quei lunghi mesi.
    Galena chiamò a raccolta la Guardia Reale, soldatesse in armatura candida: un’ultima linea di difesa contro l’inferno che premeva fuori, nella Città Sacra ormai al collasso, piegata dal più grande assedio che Soveralda avesse mai visto.
    Nebel raggiunse la doppia porta affrescata di verde che era l’ultima barriera prima del viaggio finale.
    La varcò con mani tremanti.

    Un seme che si è fatto pianta.
    Una pianta che è diventata frutto.
    Un frutto che ha impiegato mille anni per maturare
    .
    Le ultime truppe di Soveralda attendono nella piazza davanti alla cattedrale. Nelle vie, tra le case in fiamme, affluiscono torme di guerriere del Patto di Sangue: le Valchirie di Kvalatad sono le prime a caricare, scagliandosi come un fiume in piena sul muro di scudi. Poi le Dragonesse di Ultoria, armature vermiglie e rossi cimieri. La Guardia Elfica. Le Tigri di Monroa. Le Furie Cremisi dalle steppe del Gran Baqu.
    Nazioni unite sotto la bandiera del Patto con un unico scopo: controllare l’Eletta e il destino che da lei dipende.
    La mischia dilaga, ranghi si rompono, urla belluine. Acciaio su acciaio.
    La maledizione degli dei: mille anni di guerra.

    Nebel continuò a camminare, nonostante quel vago malessere, la debolezza che le prendeva le gambe. Lasciò che le dita brillassero di energia elementale, un modo per illudersi di stare meglio.
    Le pareti del lungo corridoio mostravano in delicate pitture il ciclo della vita: la donna quando ancora si muove gattoni ed è chiamata bambina; quando cammina e veste il saio corto; quando diventa adulta e porta le armi; quando cade trafitta da una freccia o impalata da una lancia; quando spira su un letto di scudi.
    Il ciclo della vita.

    Bruenna, condottiera di Kvalatad, è una belva scatenata. Colosso di donna dalla pelle candida e l’armatura opaca, infuria tra i ranghi a difesa del piazzale: una spada lunga quanto un braccio cala e fende con forza sovrumana, staccando arti e teste, frantumando scudi. Le sue Valchirie fanno ala in un turbine di prodezza marziale.
    Imiraya, Signora dei Laghi, è un’Elfa ammantata in un’esile corazza a scaglie blu. Schiva e danza tra i fendenti, aprendo gole e saltando sopra le barricate.

    Umidità: Nebel rallentò il passo, la temperatura ora più calda. Gli affreschi avevano lasciato il posto a bassorilievi, immagini grottesche di insetti. Il ragno vedova, la mosca, la libellula. L’ape.
    La mantide.
    Un brivido, questa volta bollente.
    Il giardino non doveva essere lontano: riprese a camminare.

    Delpha, comandante della Cittadella, è tra le ultime a cadere nel pantano di corpi e sangue che è il piazzale: reciso il braccio sinistro non c’è molto che possa fare prima che lo shock la faccia crollare, pallida, sulle ginocchia. Livarra, la regina di Ultoria, le affonda la daga alla base del collo e libera l’arma con un premere dello stivale corazzato.
    Trascorre un solo minuto di requie, tra le grida di giubilo delle guerriere del Patto e i rantoli delle morenti, poi le grandi porte della cattedrale si aprono: la Guardia Reale esce a passo di carica, inni sacri sulle labbra.
    Arciere biancovestite saettano avanti, archi già tesi, al limitare della breve scalinata: una pioggia di frecce parte all’unisono verso la calca delle avversarie.
    Tigri, Valchirie, Dragonesse, Elfe: le lattee frecce della Guardia non fanno distinzioni. Punte d’acciaio fendono gole, ventri, seni, volti.
    La reazione è feroce: l’onda del Patto carica selvaggia su per le scale, dove il muro della Guardia attende in formazione.

    L’umidità si era fatta insopportabile.
    Nebel sentì il sudore bagnarle il corpo, il viso, mentre persino le pareti sembravano trasudare fluidi corporei.
    Il corridoio diventava sempre più buio e non vi erano fiaccole a illuminare il percorso: ovunque si trovasse il sanctum dell’Oroangelo, non doveva essere lontano.
    Quando si accorse che il pavimento era bagnato, che tra le pietre del selciato iniziava a fare la sua comparsa un muschio odoroso, capì di essere vicina.
    Sfilò i calzari dorati e li lasciò in terra. S’avviò a piedi nudi su quel manto umido, caldo, che era l’anticamera del giardino.

    Le bianche arciere si ritraggono mentre la torma delle assalitrici carica lungo la scalinata e poi sulla Guardia schierata.
    Veterane esperte, l’elite di Soveralda risponde con affondi precisi di lancia che impalano e sgozzano le guerriere avversarie, avanzando a chiudendo gli spazi. Sangue spruzza su armature candide o già arrossate.
    Imiraya, l’Elfa Regina, schiva una freccia diretta al suo cuore e risponde, scagliando col balestrino da polso: una bionda arciera della Guardia cade col dardo infilato nell’occhio e crolla, scomposta, giù dalla scalinata.
    Bruenna, la belva umana, attira le grida e le frecce delle arciere mentre carica urlando: incassa tre dardi nel costato prima di scagliarsi sui ranghi nemici.
    Il suo impatto a corpo morto getta a terra più avversarie e l’affondo pauroso dello spadone ne sbalza altre.

    Nessuna porta chiudeva il sanctum dell’Oroangelo.
    Una grande sala circolare, illuminata da gemme d’ametista, era il luogo più sacro di tutta la terra: Nebel si fermò attonita davanti alla figura sinuosa dell’albero. Una pianta che non assomigliava a nessun’altra che avesse mai visto, una pianta che forse non era neppure di quel mondo.
    Il tronco, color carne, cresceva e si snodava dal suolo fino al soffitto con una forma che le parve quasi umana; i rami, come braccia distese con dita filiformi, prive di foglie, le parvero un abbraccio aperto nel quale lasciarsi andare.
    Non vide il frutto, ma sapeva dove trovarlo.
    Aprì le mani e lasciò che l’energia fluisse attraverso di sé, irradiandola di un chiarore benigno.

    Stanca, provata, Livarra sovrana di Ultoria irrompe nella cattedrale con un pugno delle proprie guardie del corpo. Fuori infuria la mischia, le urla, il clangore.
    I suoi occhi vagano alla ricerca dell’Eletta tra le volte e le navate del grande edificio.
    “Tutto si compie”, la voce la obbliga a voltarsi, spada tesa, verso la silhouette femminile in abito blu regale, che domina la vista, “La terra avrà il suo nuovo corso”.
    “DIMMI DOV’È L’ELETTA!”, bercia in risposta.
    Galena, regina di Soveralda, non replica: tende le mani che si irradiano di un lucore verde.
    Livarra ha solo il tempo di compiere un passo prima che radici e viticci irrompano attraverso il pavimento, ingaggiando lei e la sua scorta in un disperato confronto di forza: rovi si stringono intorno ad articolazioni, recidono mani e piedi, s’insinuano in pochi convulsi attimi tra labbra spalancate squarciando corpi femminili dall’interno.
    Il sibilo di una freccia raffredda l’aria: Galena grida di dolore all’entrare del dardo tra le costole, la sua forza vitale ha un tremito e si spezza, liberando Livarra dalla morsa dei vegetali. Imiraya l’Elfa scavalca i corpi trucidati e ricarica veloce il balestrino, ma non veloce abbastanza; un elmo vuoto la raggiunge e colpisce, come un proiettile, sbattendola a terra: Bruenna irrompe nella cattedrale, sporca, insanguinata, la spada trascinata e un sorriso ebbro sui tratti ferini. “L’Eletta è mia”, sibila sollevando l’arma in una minaccia a tutte le altre.
    Quattro sovrane di genti si guardano l’un'altra, ferite, provate, mentre la lealtà che ha unito il Patto di Sangue per mesi vacilla d’improvviso.

    Nebel si accostò all’albero, vi impose le mani: sentì la corteccia aprirsi, rivelare infine la forma gialla e tonda dell’Oroangelo.
    Ne rimase abbagliata, disturbata, come se la verità che aveva innanzi andasse ben oltre la sua mera comprensione: il frutto brillante, vivo, celato appena sotto una buccia quasi trasparente.
    Non consumerai l’Oroangelo prima che il rosso orologio abbia mandato il suo messaggio.
    Sentì il malessere peggiorare, la testa dolere.
    Strinse i denti per resistere all’ordalia. Sudore lungo le tempie.
    Un solo attimo di nulla, d’attesa, poi il dolore si fece più acuto: una stilla calda al basso ventre. Portò la mano all’inguine, tra le gambe ora umide, e la ritrasse insanguinata.
    Prima che il rosso orologio abbia mandato il suo messaggio.
    Dita bagnate di liquido cremisi.
    Adesso sì, sei pronta.
    Tese le mani verso il frutto, un pomo pulsante che aveva le sembianze d’un piccolo essere umano rannicchiato nel liquido vitale.
    Ne sentì il calore, la forza, l’essenza stessa del mondo.
    La mente di Nebel fu assalita dal peso di mille anni, dalle immagini furiose di una terra maledetta, rimasta priva dei suoi antichi equilibri. Una terra costretta a vivere sulle spalle di un unico genere, obbligata a riprodursi per replicazione nei giardini delle bio-maghe.
    Mille anni di guerra per il possesso di un seme.
    Un seme che si è fatto pianta.
    Una pianta che è diventata frutto.
    Il ciclo della vita.
    Nebel aprì le labbra e accolse l’Oroangelo in un tripudio di colori sanguigni.

    “Non capite?”, Galena strinse i denti, una mano alla ferita, “È del tutto indifferente chi di noi controllerà l’Eletta. I mille anni sono trascorsi, una singola donna ora è feconda”.
    Quattro regine a guardarsi, stanche, provate, consapevoli di aver speso la propria esistenza senza la vittoria finale.
    “L’Eletta porterà in grembo un figlio. Un uomo. Dopo mille anni, un maschio nascerà di nuovo”.
    Un sorriso tra le labbra arrossate.
    “L’equilibrio sarà ripristinato. Altrove, lontano da tutte noi”.

    Nebel aprì gli occhi.
    Davanti a lei una distesa di campi del colore dell’oro.
    Non comprese dove si trovasse, né le importò.
    Poggiò una mano sul ventre e fu certa di sentire un secondo cuore battere, minuscolo, dentro di sé.

    Edited by Fante Scelto - 30/9/2017, 23:25
     
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