Olimpiadi Letterarie

LAGO ROSSO

girone QUADRI - genere HORROR

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  1. dalcapa
     
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    Una goccia, una goccia alla volta, lento, piano,
    il sangue.
    Come grani di sabbia in una clessidra,
    il sangue,
    misurava il trascorrere del tempo, lo scorrere della vita, che lasciava, il suo corpo, lenta.
    Una strana flebo al contrario. Un piccolo tubicino, sotto pelle, e lui,
    il suo sangue,
    che lo lasciava, per sempre.
    Si guardò intorno. Sotto di lui un lago, rosso, e le gocce
    plop
    piccoli cerchi concentrici, sotto di lui.
    Merda.
    Era appeso a testa in giù.
    Come cazzo ci era finito, lì, appeso a testa in giù?
    Il cuore, nelle tempie
    tump
    E si guardò intorno. Sotto di lui il lago rosso sangue e intorno altri corpi, appesi a testa in giù, altre flebo. Altri
    plop plop plop
    Aveva la vista annebbiata, faceva fatica a mettere a fuoco. Vedeva alcuni corpi dimenarsi, altri fermi, immobili, il braccio destro teso verso il basso, e i tubicini che pendevano verso il lago.
    Provò a muoversi. Il braccio sinistro era legato dietro la schiena, ma il braccio destro era libero. Provò a piegarlo, a portarlo vicino alla bocca, voleva strappare la flebo con un morso, ma era inutile. La flebo infilata dove il braccio si piega. Facciamo una scommessa? Prova a morderti il gomito. Il gomito? Impossibile. Bene, la stessa cosa valeva per l’interno del braccio. Figa. Bel momento per scoprirlo.
    Provò a mettere a fuoco gli altri corpi. Alcuni erano prosciugati, sotto di loro nessun cerchio, nessun
    plop
    Immobili.
    Altri gocciolavano. Il segno di un qualche movimento, gemiti, ecco, non ci aveva fatto caso, prima, nel silenzio assoluto, i gemiti, nel silenzio assoluto di quella… e solo allora si rese conto di dove si trovava.
    Una grotta.
    Sopra di lui una parete di roccia e stalattiti e sotto il lago, rosso.
    La grotta. Ora ricordava. Merda, che idea del cazzo. Ne avevano visitate tante altre, di grotte, lui e i suoi amici. Ma questa… Le altre erano già conosciute, erano per lo più attrezzate, ma questa… Questa sorgeva nel mezzo di Bosco Rosso.
    La grotta di Montenero.
    Mai esplorata del tutto e poi, da alcuni anni, chiusa al pubblico. Motivi di sicurezza.
    I cartelli là fuori:
    PERICOLO
    DIVIETO D’ACCESSO
    DANGER

    Erano arrivati la mattina presto, un paio d’ore di cammino nel bosco, zaini in spalla con cibo e attrezzatura da speleologi.
    Siete sicuri?
    Non avrai mica paura?
    No, è che questo posto, non so, ha un che di…
    un che di… un che... un…
    Aveva avuto quella strana sensazione sin da quando, lasciata la macchina ai margini del bosco, si erano incamminati lungo il sentiero. Sensazione di essere seguiti, di rumori e movimenti. E quel bosco, così fitto e silenzioso.
    Non ci sono animali in questo bosco?
    Staranno dormendo.
    È l’alba, almeno gli uccelli dovrebbero farsi sentire.
    Ma niente, solo silenzio, i piccoli rumori e fruscii di Bosco Rosso e le fronde, le foglie, che si agitavano per un vento che non c’era.
    L’ombra li aveva seguiti da subito. Aveva seguito lui dalla notte prima, nei sogni, nel suo sonno agitato. Era entrata nella sua testa, lo aveva svegliato di colpo, il respiro affannato, sudato. Merda, fanculo la birra e la pizza ai quattro formaggi. Si era preparato contro voglia. Gli amici sarebbero passati a prenderlo alle cinque del mattino.
    Che cazzo di faccia c’hai.
    Ho dormito male.
    C’hai più l’età, bello!

    Bello tu! Guardati adesso, lì appeso a testa in giù, e il sangue
    plop
    gli stessi miei cerchi concentrici.
    L’aveva riconosciuto solo adesso, il corpo appeso poco lontano da lui, qualche fremito, i lamenti, la voce
    C’hai più l’età, bello!
    Gli era stato sempre sui coglioni, lui e quel suo arrogante senso di superiorità. Che merda, gli viene da sorridere a sentirlo piagnucolare.

    L’ombra li aveva seguiti lungo tutto il sentiero, le foglie che si agitavano al suo passaggio, gli animali rannicchiati silenziosi nelle tane, gli uccelli aggrappati ai rami, nascosti fra le foglie, le foglie di Bosco Rosso e il silenzio, che a Bosco Rosso si chiamava ombra.
    Avevano faticato a trovare l’ingresso. La vegetazione aveva ormai cancellato l’ultima parte del sentiero e i cartelli, ormai abbandonati, si vedevano a fatica. Si prepararono in silenzio. Solo qualche battuta.
    Siete sicuri?
    Non avrai mica paura?
    No, è che questo posto, non so, ha un che di…
    un che di… un che… un…
    E l’ombra era lì, all’ingresso, ad aspettarli, sì, proprio lì nell’ombra.

    Si guardò ancora intorno, aveva freddo e solo ora si era reso conto di essere nudo. Un pensiero del cazzo. Ci sarà qualche donna appesa qui con me in questa merda di grotta?
    Eccola, la gnocca del gruppo. Beh, vista così non è poi più tanto gnocca. I capelli sciolti, sporchi e sudati, che pendono verso la superficie del lago, il volto deformato da lacrime e disperazione e le tette, che strano effetto la gravità a testa in giù, ehi, te le potresti quasi ciucciare. Non se la tira più adesso!
    E ripensa a quante volte, solo, chiuso in bagno, si è sparato seghe pensando a lei, l’irraggiungibile, il frutto proibito.

    Lasciate ogni speranza o voi che entrate.
    Ecco, ci mancava la battuta del cazzo, ma ora, col senno di poi…
    L’ombra lo aveva accolto appena aveva varcato l’ingresso, un buco di terra e roccia in mezzo a sterpaglie e cespugli rossi di sanguinella.
    Era stato proprio come un sospiro. Inspira e poi…
    e poi niente più
    l’ombra aveva bisogno di un corpo
    e l’ombra aveva scelto lui
    e l’ombra era ormai dentro di lui.

    Ora ormai vedeva chiaramente tutti i corpi. Piccoli fasci di luce penetravano dall’alto della volta, si riflettevano sulla superficie del lago e una strana luce purpurea illuminava tutto l’interno della grotta. La grotta era enorme e i corpi che pendevano dall’alto erano decine, forse centinaia. Riconobbe piano piano tutti i componenti della sua compagnia. C’era Ciccio, povero, chissà quanto avrebbe impiegato a prosciugarsi di tutto il suo sangue e lardo. Non lo aveva mai sopportato, lui e il suo zaino pieno di quella merda dolce e salata. Lui e le sue continue lamentele. E poi c’era la stronzetta, la saputella del gruppo. Era anche colpa sua se si trovavano in quella cazzo di situazione, lei e le ricerche su internet, lei e il suo prima o poi dobbiamo andare in un posto dove non sia mai andato nessuno.
    Eccoti. Sei contenta? Cos’è, volevi dare il tuo nome alla grotta? Grotta Stronzetta? Ma come vedi non sei certo stata la prima ad arrivare fino a qui.
    Come gli occhi si erano abituati a quella strana luce, così le orecchie, piano piano, avevano cominciato a cogliere ogni piccolo rumore, ogni leggero sussurro. Le voci, decine, centinaia di voci. Ma com’era possibile? La maggior parte di quei corpi erano chiaramente cadaveri senza vita.

    Avevano cominciato a scendere la grotta uno dopo l’altro, lui per ultimo. Subito sotto di lui Ciccio e la Gnocca. Ciccio e la Gnocca, che coppia. Un bel titolo per una commedia sexy all’italiana. L’ombra vedeva tutto attraverso i suoi occhi e agiva attraverso il suo corpo, le sue mani. Si era addentrato per ultimo così sarebbe stato tutto più semplice. Sganciare il moschettone di Ciccio era stato fin troppo facile, impegnato com’era a lamentarsi e a masticare la sua barretta energetica. Era rotolato per circa una cinquantina di metri travolgendo la ragazza subito sotto di lui e sfiorando gli altri due del gruppo.
    Ehi, ma che cazzo!
    Ciccio è caduto!
    Voi tutto a posto?
    Non so, mi sembra che Patty abbia preso una brutta botta.
    Patty? Tutto bene? Patty?
    Patty penzolava attaccata alla corda, proprio come adesso penzolava sopra il lago
    plop
    cerchi concentrici, il volto rigato e le tette, quelle splendide tette, perché non te le lecchi un po’ le tue tette, eh Patty?
    Quando li raggiunse, Ciccio era steso a terra, si lamentava, tanto per cambiare.
    La gamba, cazzo, mi si è spezzata una gamba.
    Patty erano riuscita a calarla piano piano ed era stesa a terra, svenuta. Chino su di lei c’era Ciao bello, si era tolto il casco e cercava di rianimarla.
    Dai, lo so, stai pensando alla respirazione bocca a bocca, bastardo maiale schifoso che non sei altro. Ma non ti preoccupare, a lei ci penserò io, dopo, con calma.
    Prese la bombola, quella con l’ossigeno, e gliela diede in testa.
    La saputella era esterrefatta.
    Ehi, ma che cazzo stai facendo?
    Cosa sto facendo? Vi porterò in fondo alla grotta, non è quello che volevi?
    Un pugno ben assestato in volto e anche lei era sistemata. Rimanevano i lamenti di Ciccio.
    Dai, cazzo, smettila di lamentarti, merda! SMETTILA!
    Ti prego, non guardarmi così, ti prego, non farmi del male, non farmi del ma… non…
    Li trascinò uno alla volta fino all’imbocco della caverna, la caverna con il grande lago rosso. Li trascinò e poi li spogliò uno alla volta. Erano ancora svenuti, incoscienti.
    Una volta spogliati legò loro il braccio sinistro dietro la schiena, si tolse anche lui i vestiti e rimase nudo, completamente nudo. A quel punto li violentò tutti. Per ultima lei, la più bella. Con lei voleva fare le cose con calma, per bene. Le allargò con delicatezza le gambe e la penetrò dapprima con dolcezza e poi sempre più violentemente. Ma al culmine del rapporto, quell’attimo prima di raggiungere l’orgasmo, si sentì prendere dai piedi e trascinare via. Si voltò e la vide, una radice, la radice di un albero, avvolgersi intorno al suo piede e poi un’altra, all’altro piede, e in quel momento l’ombra lo lasciò e lui vide i corpi dei suoi compagni ancora svenuti, nudi, catturati da radici, violentati da radici, trascinati via dalle radici… poi sentì che il braccio sinistro gli veniva legato dietro la schiena, senti che qualcosa lo penetrava e poi svenne.
    Ora ricordava tutto. Si guardò intorno e vide i corpi dei suoi compagni, vicino a lui, appesi a testa in giù, gambe divaricate, radici che entravano e uscivano da tutti gli orifizi e dalle braccia. Gli vennero in mente i cartoni manga con donne penetrate dai tentacoli di mostri alieni. Guardò in alto e vide che lo stesso destino era toccato anche a lui. Una grossa radice lo penetrava da dietro. Cercò di cacciare un urlo, ma gli uscì solo un fievole lamento soffocato dalla stessa radice che gli stava uscendo dalla bocca. Vide che ciò che pendeva dal soffitto non erano stalattiti, ma radici enormi di alberi che si tuffavano nel lago. Pianse, quel poco che poté. Sperò solo che potesse finire presto e a quel punto che capì. Si guardò intorno e vide i corpi prosciugati, ma lo sguardo vivo, sentì le loro voci, i loro lamenti. I corpi erano morti, ma la testa, il cervello, ancora vivi. Le radici attraversavano il cuore di quei corpi, alimentavano la circolazione del sangue che in quella posizione si era riversato nella testa senza poter colare dal braccio e tenevano viva la mente. Vide i cespugli, le foglie rosse del bosco. E capì.
    La sua testa, come snodo sotto il lavandino, dove si fermano anelli caduti, monetine, il dentino di un figlio, deposito eterno per i ricordi, i pensieri, le emozioni.
    Resteranno lì, per sempre.
    La mia testa viva per sempre, cristo, mentre le radici degli alberi di Bosco Rosso si nutrono del mio sangue.

    Edited by dalcapa - 11/10/2017, 11:35
     
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  2. caipiroska
     
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    Wow Dalcapa!
    Hai costruito un horror con i fiocchi!
    Mi piace molto il tocco ironico che hai dato alla vicenda: invece di sdrammatizzare sottolinea efficacemente la follia di quanto accade.
    Le scene sono nitide e agghiaccianti, la storia è ben costruita e inquietante.
    Il Lago Rosso ha tutto il suo perché, e questa era una boa che hai superato con agilità e disinvoltura, regalando una finale orribile e convincente.
    I fatti accadono uno dietro l'altro con naturalezza, con l'ansia iniziale, con lo sgomento finale unito a quel tocco d'incredulità che rende la storia ancora più vera, meno artefatta.
    Se stanotte avrò un incubo, sappi che la colpa è tua!
    Complimenti davvero!
     
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1 replies since 10/10/2017, 20:15   43 views
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