Olimpiadi Letterarie

Gli algoritmi non sbagliano mai

Girone Picche - Genere Distopico

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  1. Befana Profana
     
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    «Un'altra birra?» Domandò l'uomo dietro il bancone.
    Prima di rispondere, Tom avvicinò il Lifepad al polso sinistro. Lesse il risultato e infilò l'apparecchio nella tasca della giacca.
    «Pare che abbia bevuto abbastanza. E poi è ora che mi muova, devo anche passare al Circolo Ricreativo Sessuale.»
    Il barista si disse che cominciava ad averne voglia anche lui, erano passati mesi dall'ultima volta, ma il suo Lifepad non sembrava vederne l'utilità. Sospirò e fece un gesto di saluto a Tom che lo ricambiò, prima di alzarsi dallo sgabello e uscire.
    Guidò lentamente, non aveva voglia di sesso, quella sera, era stanco e avrebbe preferito una doccia calda e una bella dormita.
    Al Club, la receptionist gli scansionò il polso e lo accompagnò alla stanza preposta.
    «L'operatrice arriverà subito, desidera qualcosa da bere?»
    Tom fece segno di no con la testa e la ringraziò. Rimasto solo, tolse giacca e scarpe e si sedette sul letto. Non si sentiva decisamente in vena, quella sera, ma il Lifepad aveva decretato che ne aveva bisogno e gli algoritmi non sbagliavano mai.
    Osservò la stanza, una di quelle che preferiva. Erano anni che frequentava il Club. Dopo il concepimento e la nascita di loro figlia, sua moglie e lui non avevano più avuto rapporti.
    Erano stati abbinati per la loro alta compatibilità genetica e la conseguente probabilità di dare vita a figli sani e di buone doti psicofisiche, infatti Ada era una ragazzina incantevole; per tutto il resto, però, erano due estranei che vivevano nella stessa casa, conducendo esistenze distaccate.
    Conosceva individui che avevano una grande empatia e sintonia con i partner a cui erano stati abbinati, ma non era il caso suo e di Elena. Non gli importava: non si sentiva solo, grazie all'affetto di Ada.
    Sapeva che dare troppo spazio ai sentimenti era sconsigliato, se non espressamente vietato: la razionalità doveva guidare la vita degli individui, era questa la base di una società sana e duratura; ma non poteva impedirsi di amare la figlia in modo assoluto e senza limiti. Nemmeno le massicce dosi di neurolettici prescrittegli dal Lifepad avevano potuto sedare questo suo eccesso di emotività.

    «Buonasera, sono la sua operatrice, vuole parlare un po', prima, o ha fretta di concludere? Ha richieste particolari?»
    La donna aveva pronunciato l'intera frase prima ancora di essersi richiusa la porta alle spalle; quando alzò gli occhi, Tom la riconobbe immediatamente.
    «Milena? Ma sei tu? Come... che fai qui?»
    «Lavoro. Ciao Tom, come stai?»
    Compagni di banco alle medie, avevano condiviso per anni le proprie fantasticherie sul futuro che l'Utilitypad avrebbe riservato loro.
    A tredici anni, Tom era stato indirizzato ai suoi studi di agronomia, seguiti dal lavoro di supervisore della rivegetalizzazione degli spazi urbani che occupava ora; ignorava quale fosse stato il destino di Milena.
    «Ma tu... eri così brava... voglio dire... questo è un lavoro necessario, certo, ma credevo facessi qualcosa di...»
    Milena si sedette sul tappeto ai suoi piedi.
    «Insegnante. Lo sono stata per alcuni anni. Poi hanno deciso che ero troppo... pericolosa: parlavo di libero arbitrio, di libertà di scelta, di ascoltare la propria indole, anche imperfetta, di sentimenti, di scegliere chi si vuole essere.»
    Tom la fissava sconvolto.
    «Ma tutto questo è inaccettabile, è antisociale! Sai come sono finite le società gestite dalla soggettività umana. Per questo ora l'Ufficio Demografico dirige la vita dei cittadini basandosi esclusivamente su algoritmi calcolati da processori evoluti e performanti. Unicamente su dati e caratteristiche certi. Ne va del futuro della Società, di noi tutti.»
    Milena scosse la testa.
    «Per questo ho perso lo status di insegnante, avrei dovuto andare in prigione, ma l'Utilitypad ha decretato che ero portata per il sesso e di operatrici in quel campo ce n'è sempre bisogno.»
    «Quindi continui ad essere utile alla società, è una buona cosa.» Replicò lui senza reale convinzione.
    «Tu non capisci – lo contraddisse – eppure ricordo che eri un ragazzo intelligente... ci hanno troppo indottrinato! Renditi conto, lasciamo dirigere le nostre vite dai calcolatori, siamo come insetti, formiche al servizio della nostra società-formicaio. Non decidiamo di nulla, subiamo il destino che ci viene assegnato.»
    Nello sguardo di Tom l'incomprensione era totale.
    «Ma è necessario: gli uomini sono incapaci di gestirsi! Pensa alle guerre, le epidemie, la disoccupazione endemica, i disastri ecologici... tutto quello che abbiamo studiato nei libri. Gli algoritmi sono l'unica soluzione. Grazie a loro abbiamo pace e prosperità.»
    «Ma la libertà? I sentimenti? La capacità di decidere? Certo, siamo imperfetti, ma non possiamo rinunciare a ogni possibilità di libera scelta. Significa rinunciare alla nostra umanità.»
    «È il prezzo da pagare, immagino.»
    Milena scosse la testa con un sospiro, si alzò e gli prese la mano.
    «Sei qui per una ragione, forza, facciamo ciò che l'algoritmo impone.»
    Tom ritrasse la mano, imbarazzato.
    «Non credo di potere, ti conosco da sempre... non ce la farei.»
    «Il Lifepad lo preconizza... e non sbaglia mai, no?»
    L'uomo si lasciò fare. La sua mente era attraversata da concetti nuovi e spaventosi, ma il corpo era presente e espletò la funzione che gli veniva richiesta.

    Nelle settimane successive, l'agronomo si sforzò di dimenticare l'incontro con Milena, le domande, i dubbi che aveva cercato di risvegliare in lui. Di giorno era abbastanza semplice ma la sera, sdraiato nel letto, quegli interrogativi gli tornavano alla mente, lo tormentavano, impedendogli di trovare sonno, nonostante le forti dosi di sedativi prescritte dal Lifepad.
    Con suo grande sollievo, non incontrò più l'ex compagna di banco, nelle sue visite successive al Club furono altre operatrici a occuparsi di lui e Tom credette di aver ritrovato la serenità.
    Fino al giorno in cui anche per Ada, come per ogni tredicenne, arrivò il momento di essere scansionata e indirizzata al proprio ruolo nella società dall'Utilitypad.
    Per quanto non avesse mai eccelso a scuola e il risultato dell'esame finale delle medie fosse stato mediocre, Tom credeva in lei, la amava al di là di tutto, era certo che meritasse un futuro radioso.
    I genitori aspettavano nell'anticamera, come da regolamento.
    Quando Ada uscì, Tom fu dapprima stupito: non ricordava di averla mai vista piangere, se non da piccolissima. Era così sbalordito che non comprese subito ciò che tentava di spiegargli.
    «Madre surrogata. È l'unico ruolo in cui posso essere utile alla società. Non sono abbastanza intelligente né forte fisicamente per nessun lavoro, non sarei... abbastanza performante.»
    «Ma che...» tentò di interromperla, senza successo.
    «A quanto pare morirò prima di avere cinquant'anni, ho un'elevata probabilità di contrarre un cancro al cervello, il che mi rende inadatta anche per il ruolo di madre e moglie casalinga. Ma ho un buon apparato riproduttivo e sono di bell'aspetto. Probabilmente potrò portare a termine con successo tre o quattro gravidanze per conto di cittadini sterili. Poi, lavorerò come operatrice sessuale, per qualche anno, fino al deperimento fisico.»
    Il padre l'abbracciò.
    «Inaccettabile: sei bella, intelligente, dolce e sensibile, qualunque sia la durata della tua vita, non può essere quella la tua sola utilità. Che idiozie.»
    «Ma l'algoritmo...»
    «Stronzate! Si è sbagliato.»
    Intorno a loro, gli impiegati spiegavano ai genitori che avevano tre settimane di tempo per fare i loro addii ai figli e preparare le loro cose prima che partissero per il Centro di Formazione indicato. Sui volti di ciascuno, rassegnazione, sconforto o soddisfazione, secondo il responso ricevuto. Agenti armati sorvegliavano silenziosamente che tutto si svolgesse senza incidenti.
    Tom trascinò via la figlia, in silenzio.
    Nei giorni successivi, tentò in ogni modo di strapparla a quel destino segnato. Telefonò, scrisse, si trascinò implorante in tutti gli uffici, fino al ministero.
    La risposta era sempre la stessa.
    «Gli algoritmi non sbagliano. Ognuno deve svolgere il proprio ruolo per il bene della Società.»

    Tom ripensò alle parole di Milena “abbiamo rinunciato alla nostra umanità”.
    Una società che disponeva dei propri individui come fossero pedine su una scacchiera. Come aveva potuto credere che fosse giusto? Che fosse la soluzione? Come potevano crederlo tutti?
    Avrebbe voluto scappare insieme ad Ada, ma dove? Non c'era protezione per chi andava contro il sistema.
    In un ultimo disperato tentativo, corse al Club: forse Milena sapeva qualcosa, poteva dargli consiglio.
    La donna non lavorava più là, né altrove. L'avevano portata via, gli spiegarono, i suoi discorsi sediziosi avevano spaventato i clienti, era stata denunciata. Non ci si opponeva alla Società, al bene comune.
    Deciso a difendere sua figlia a qualunque costo, rientrò a casa ma Ada non era più là.
    Durante la sua assenza, la moglie aveva avvertito le autorità.
    «L'hanno presa. È il suo destino. È nostro dovere accettarlo. È giusto così.»
    Tom si precipitò all'Ufficio Demografico alla sua ricerca.
    Agenti in tenuta antisommossa aspettavano il suo arrivo e lo intercettarono all'ingresso.
    Gli intimarono di fermarsi ma continuò ad avanzare.
    Il direttore dell'Ufficio intervenne.
    «Signor Tomasi, nessuno vuole farle del male, ma lo faremo se necessario. Ada deve compiere il suo destino, il ruolo in cui sarà più utile alla società.»
    «E a se stessa? Non smetterò di battermi, mia figlia ha diritto di scegliere il suo ruolo nella vita, dovremmo averlo tutti.»
    Urlava, fuori di sé. Spintonò l'agente che gli stava davanti e ricominciò ad avanzare, scandendo il nome della figlia.
    «Non potrete fermarmi, se non uccidendomi. Proteggerò Ada da questa follia. Non siamo formiche, dobbiamo poter scegliere.»
    Tutti i presenti osservavano la scena. Alcuni scuotevano la testa, inorriditi.
    Era giorno di partenze verso i Centri di Formazione, molti genitori accompagnavano i figli, valigia in mano, diretti al destino tracciato per loro dall'Utilitypad.
    Quel padre incapace di rassegnarsi risvegliava in loro strane sensazioni, sentimenti inconfessati.
    Il Direttore sapeva che doveva mettere un termine a quella scena: non si poteva sfidare impunemente la Società.
    «È l'ultimo avvertimento, signor Tomasi, per il bene comune, se ne vada o dirò agli agenti di sparare. Sa che è un mio diritto. Difendo la Società»
    «E io difendo mia figlia, il suo diritto di scegliere la propria vita... anzi il diritto di ognuno di scegliere. Ridateci la libertà di decidere.»
    La folla rumoreggiava.
    Tom avanzò ancora.
    Il Direttore diede il segnale.
    La raffica di mitra lo colpì alla schiena, Tom si accasciò al suolo.
    Le armi crepitarono ancora.
    Il rumore rimbombò nelle orecchie dei presenti, assordante. Non abbastanza.
    In molti di loro, genitori, ragazzi destinati a un avvenire imposto, risuonava più forte l'eco di quelle parole. “Diritto di scegliere, Libertà di decidere.”
     
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