Olimpiadi Letterarie

L'ingranaggio dell'amore

Girone Cuori - Genere Steampunk

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  1. Hindefuns
     
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    “Questa è una storia d’amore. Nato dall’odio, dal sangue e dal vapore, saldato nel metallo, ma incredibilmente e fortissimamente amore”.
    Il cielo di Piazza Bra si fece scuro per le nuvole di vapore che nascosero il sole. Ancora una volta l’Arena avrebbe assistito quale giudice impotente alla faida tra le due famiglie più antiche e ricche di Verona.
    Mai prima d’ora però si era visto un tale spiegamento di forze. Quelli che erano iniziati come duelli dettati dall’onore erano ormai degenerati in un conflitto vero e proprio, volto all’annientamento della fazione più debole.
    Armati delle più moderne macchine a vapore e mortai avanzavano gli uni contro gli altri.
    Quando i montecchi caricarono con le loro carrozze l’avanguardia dei servi Capuleti armata solo di spade, e la battaglia ebbe inizio, sconvolgendo ancora una volta la città. Le nuvole scure si alzavano alte, il rumore di lamiere contorte e di colpi dei mortai riecheggiava all’interno dell’Arena espandendosi sin dall’altra parte della città.
    Erano pochi i popolani che non lavoravano per l’una o l’altra famiglia o, semplicemente, non avevano interessi collegati a loro. Ma il sentimento comune era ormai lo sdegno verso l’odio che stava distruggendo vite, strade, palazzi e la serenità della gente.
    Dalla torre del suo castello il Principe Escalo vide l’orizzonte sporcarsi di nero e subito il suo umore divenne dello stesso colore. Non c’era tempo da perdere, quindi urlò contro il suo valletto e, nel giro di pochi minuti, la guardia reale si trovò sul torrione esterno delle mura, armata e pronta all’intervento. Per ultimo arrivò il Principe che, nonostante le proteste del suo primo ufficiale, aveva deciso di partecipare personalmente.
    “Mio è il governo della città, mia la responsabilità”, disse indossando il pesante zaino che, una volta acceso, lo sollevò da terra emettendo due soffi di fumo così potenti da scurire la pietra di cui erano fatte le mura.
    Quando finalmente la guardia regia arrivò alla Bra, lo spettacolo che si presentò agli occhi di Escalo li fece lacrimare di dolore. Ovunque era distruzione. Lamiere, pietre e sangue. I pochi rimasti vivi si accanivano gli uni contro gli altri brandendo quello che restava delle armi ed avanzando su ciò che rimaneva dei cadaveri di compagni ed avversari.
    Non fu difficile per le guardie separare i contendenti ormai disfatti dalla battaglia.
    Posti in ginocchio con le braccia legate dietro la schiena i signori Montecchi e Capuleti stavano finalmente gli uni accanto gli altri.
    “Se non vi faccio uccidere è solo perché oggi il suolo di Verona è saturo del sangue dei vostri compagni. Ma non permetterò ulteriormente che maltrattiate questa città. Qualunque altro scontro, o soltanto provocazione, sarà punito con l’immediata esecuzione del colpevole. La vostra punizione sarà di andare via immediatamente da questa piazza. Lascerete morti, feriti e macchine. Adesso mi appartengono e ne disporrò come meglio credo”.
    Il vecchio Montecchi divenne bianco in viso. Tra i ragazzi inginocchiati con lui non aveva riconosciuto il figlio Romeo che, quindi, doveva trovarsi da qualche parte nell’inferno di Bra. Non poteva essere morto, suo padre gli aveva insegnato a combattere e lo aveva attrezzato con le armature più robuste e le armi più moderne. Provò a protestare, ma ricevette una pedata da una delle guardie in piedi dietro di lui che lo fece cadere in avanti faccia a terra. “La decisione non è negoziabile”, chiuse il discorso il Principe facendo segno alle due fazioni di disperdersi.
    Col cuore stretto dalla preoccupazione il vecchio Montecchi fu portato via a braccia dai suoi fedeli servitori.
    Il principe guardò ancora una volta lo scempio e diede subito l’ordine di portare i feriti dal cerusico di corte. Poi avrebbero pensato al resto.
    Stava ancora impartendo comandi quando il primo ufficiale lo raggiunse trafelato. Avevano trovato il figlio del Signore Montecchi. Era vivo, ma ancora per poco. Escalo corse a controllare di persona. Quasi al centro della piazza, all’interno di una carrozza ormai aperta come le fauci di un enorme lupo metallico, stava un corpo all’apparenza dilaniato dalla belva. Completamente coperto di sangue, sollevava però ancora a fatica il petto ritmicamente. Il Principe senza esitazioni ordinò che fosse portato al castello dove l’avrebbe fatto visitare al suo medico personale. Romeo non doveva morire o la faida sarebbe continuata in eterno.
    Quando il medico vide il giovane in quelle condizioni non ebbe neanche bisogno di visitarlo, il petto squarciato ed il cuore compromesso gli lasciavano ben poche speranze di salvarlo con la medicina tradizionale.
    Aveva un’altra soluzione. Ma la responsabilità doveva essere tutta del Signore del castello. Perché quello che aveva progettato e costruito negli ultimi mesi era destinato ad un’altra paziente, da tempo malata ed affidata dal padre alle cure della corte.
    Il Principe urlò adirato. Per quale gioco del destino gli si chiedeva di decidere se salvare un Montecchi sacrificando una Capuleti o viceversa? Avrebbe comunque condannato a morte metà del futuro della città. Il dottore assistette allo sfogo del suo Signore in silenzio, con la testa bassa e l’espressione persa nel vuoto. Quindi sollevò il capo con l’espressione di chi aveva avuto un’idea, e, per quanto pericolosa ed estrema, la sottopose ad Escalo.
    Sul viso del principe nacque un sorriso sempre più grande, fino a divenire una fragorosa risata che inondò l’ala del castello solitamente silenziosa.
    Passarono le ore ed alla fine il dottore uscì dalla sala operatoria visibilmente stremato, sporco di sangue e sudore, ma fiero. Tutto era andato per il meglio. Verona si sarebbe salvata.
    Non restava al reggente che convocare le due famiglie per dare la lieta notizia.
    Intanto nella stanzetta attigua alla sala operatoria, Romeo, al risveglio dall’operazione, ancora intontito, si voltò alla ricerca di un volto familiare. Ma ciò che vide fu un angelo, una ragazza meravigliosa che dormiva nel letto accanto al suo. Credette d’esser morto e di trovarsi in paradiso, ma non si era mai sentito così vivo. l’emozione durò però soltanto un attimo, giusto il tempo di portarsi una mano al petto in un gesto d’ispirazione, solo per scoprire che qualcosa di metallico aveva invaso il suo petto. Spostò in fretta il lenzuolo continuando a tastarsi sempre più agitato. Urlò disperato e spaventato, aveva un vero e proprio ingranaggio incassato nella scatola toracica, dove una volta era il cuore.
    Le urla fecero accorrere il medico che gli chiese di calmarsi in cambio della promessa di una spiegazione. Ma era come chiedere ad un fuoco divampato in un bosco di spegnersi da solo. Finché non entrò il Principe, la cui sola figura intimorì e sedò il giovane.
    Escalo, che non aveva dimenticato la sua partecipazione alla guerra della Bra, guardò severo verso Romeo, volgendo poi un sorriso a Giulietta che intanto si era svegliata. Prima che anch’ella potesse farsi prender dal panico, decise di spiegare ciò che il suo protetto, medico e meccanico, aveva realizzato. “Voi due dovete la vita a questo genio che non si è fermato laddove la medicina ha posto i suoi confini, ma li ha superati, entrando nel campo della meccanica. Il vecchio Capuleti venne di persona a chiedere aiuto per la sua unica figlia che i dottori davano per spacciata a causa di una malformazione al cuore. Non potevo permettere che un angelo come lei si spegnesse senza tentare anche l’impossibile, così l’affidai alle sue cure”.
    Poi, indicando a turno i ragazzi: “Lui è Romeo, figlio dei nemici della tua famiglia. E lei Giulietta, erede della nemesi di tuo padre. Le vostre famiglie si odiano, ma le cose dovranno cambiare”. Prese la mano della ragazza che lo guardava stranita, ancora intorpidita dall’effetto dell’anestesia e degli infusi per non provare dolore: “mi dispiace mio piccolo angelo. Anche se può sembrare, non è stato un gioco perverso, ma l’urgenza di salvare un’altra vita che ci ha posto davanti ad un dilemma, aiutarne due a convivere o condannarne a morte uno?” E dolcemente sollevò il lenzuolo che nascondeva il corpo della ragazza. anch’ella, come Romeo, portava in petto una scatola metallica con ingranaggi in perpetuo movimento. I giovani si guardarono spaventati. Ciò che vedevano l’uno nel petto dell’altra era la vita.
    Il Principe non aveva finito. “Il cuore meccanico è stato pensato per te Giulietta. Ti avrebbe permesso di vivere una lunga vita serena, ma la necessità ha voluto che il dottore dovesse modificare la sua invenzione per adattarla a due persone. È riuscito così a dividere in due gli ingranaggi permettendo ad entrambi di vivere indipendentemente, ma solo per sette giorni alla volta. Dopodiché dovrete incontrarvi e congiungere i due meccanismi per ricaricarli insieme. Non si può fare altrimenti. Dovrete abbracciarvi e rimanere con i petti uniti per un’ora almeno, cosicché i due cuori si ricarichino. Altrimenti morirete”.
    Giulietta guardò negli occhi Romeo, che le era stato presentato come nemico senza però darle il tempo di odiarlo, ed ora le veniva chiesto di stringersi a lui senza conoscerlo. Era confusa e leggeva lo stesso sentimento negli occhi del ragazzo. La macchina in petto non le dava fastidio. Aveva patito le pene dell’inferno in vita ed ora per la prima volta si sentiva bene. Il suo corpo era sfigurato, ma era viva.
    Gli anni passarono e l’abbraccio di Romeo e Giulietta divenne dell’intera Verona. I due, sempre così vicini, finirono per amarsi. E le famiglie a tollerarsi. Non si poteva combattere con chi da la vita a tuo figlio.
    Ma il vecchio Montecchi non avrebbe aspettato che Giulietta morisse o, per un qualunque caso, mancasse ad un appuntamento con suo figlio. Spese tutto il necessario, assunse meccanici, minacciò e promise, finché non trovarono il modo di modificare la macchina che Romeo portava in petto per renderlo indipendente. Più folle che felice comunicò al figlio che l’indomani sarebbe stato operato per esser salvato definitivamente.
    A Romeo, al quale non fu chiesto cosa pensasse di tutto ciò, non restava che dare la notizia a Giulietta. La ragazza pianse. Avrebbe perso il suo amore. Solo la conseguente morte la consolava. Pur non avendo un cuore soffriva come se glielo avessero spezzato in due.
    E venne il momento dell’operazione.
    Giulietta decise di passare le ultime ore prima che le si fermasse il cuore sul balcone dove tante volte aveva amoreggiato col suo uomo. Il bianco della luna vestiva bene la sua tristezza.
    Quando da lontano sentì una serenata accompagnata dai lamenti della gente che tentava di dormire. Era Romeo, pazzo d’amore che, sbucando dall’ombra della strada e mostrandole il suo petto nudo con lo stesso vecchio ingranaggio che li aveva tenuti vivi insieme, le disse:
    “Tu ed io piccola, che ne dici?”
     
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