Olimpiadi Letterarie

A Steampunk Tragedy

Gruppo Cuori, genere Steampunk

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  1. Blacksteam
     
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    Il messaggero riusciva a stento a placare il fiato corto che lo possedeva, causato da una corsa disperata che si ripeteva a ogni lettera urgente che doveva recapitare al Re. Proprio lui annuiva, accarezzandosi la barba incolta, segno di apprezzamento. Davanti a lui il messaggero, il comandante delle forze dell’ordine Royce Hewitson e la Regina Hariette erano in attesa del suo verdetto. Re Angus Tilford si alzò dal trono e con voce profonda annunciò: «Il regno di terra ha accettato il compromesso: tra due mesi si terranno le nozze che riappacificheranno i nostri popoli.» Sui volti dei presenti comparve un sorriso mosso dalla possibilità di un cambiamento, dalla prospettiva di un avvenire diverso.
    Hariette fece un passo avanti. «Penso che ora sia giusto che Romeo sappia.»
    «No!» tuonò IL Re. «Che non sappia nulla fino al giorno stabilito. Rimembrate bene il suo carattere, se ne venisse a conoscenza potrebbe mandare a monte tutto e non possiamo permettercelo. Ora lasciatemi solo.» Le guardie all’interno aprirono la pesante porta, lasciando uscire le tre persone più fidate del Re. Quando si chiuse, il sovrano del Regno d’Aria s’avviò verso l’angolo di una delle due vetrate che delimitavano i fianchi della sala regale, che richiamava vagamente la testa di un pesce, e rimase a osservare. Oltre il vetro, lente nuvole riposavano su di un velo d’azzurro mattutino; tra di loro decine, centinaia di dirigibili di ogni forma e dimensione erano sparsi come stelle di vapore vestite di tela rattoppata, in attesa che arrivasse quel fatidico momento.

    Due mesi dopo…

    «Non ti ho dotato di un motore di flusso snodato per farti fluttuare da un lato all’altro della stanza, Clovis.»
    Clovis, un robottino vivace dagli enormi occhi a quadrattini e due chele al posto delle mani, spense il motore e riaccese la sua buona e vecchia elica posta sopra alla testa di rame.
    «Scusi mio principe» emise, arrestandosi accanto a Romeo, intento a disegnare il ritratto di una fanciulla che non era poi tanto difficile identificare.
    «Avverto sempre più la necessità di poterla toccare, questa enorme distanza è una maledizione.» Il ragazzo si stiracchiò, l’occhio cadde verso il telescopio. Gli aveva detto che quel pomeriggio sarebbe uscita, chissà se sarebbe riuscito a scorgerla. Sorrise e si alzò per raggiungere il potente marchingegno e appoggiò l’occhio davanti allo stretto cono di rame. Era già puntato verso il sotto, come lo chiamava lui. Osservò un po’ le vie della città, che ormai conosceva come se ci abitasse: grandi case dai tetti acuminati, gialle, azzurre, rosse; lunghe schiere di appartamenti stretti uno all’altro come serpenti di mattoni; uomini vestiti di nero con grossi cappelli o minute bombette, donne con vistosi vestiti, almeno chi se lo poteva permettere.
    Poi lei.
    Una ragazza, dentro a una carrozza trainata da quattro cavalli bianchi. Romeo, stringendo su di lei nell’intento di catturare più dettagli del volto, s’accorse che il suo interesse venne ricambiato. Uno sguardo, fugace, impossibile da pensare che fosse realmente rivolto a lui. Eppure lo era. Lui era innamorato di una ragazza della terra di sotto e lei di un ragazzo dei dirigibili. Due fazioni che si erano staccate da troppi anni, separate da una stupida guerra.
    Quella notte chiuse la porta a chiave, lasciando ronzare gli aeroplanini che avrebbero coperto i suoi sussurri mentre parlava con Juliet. Clovis la proiettò con un fascio di luce a gambe incrociate sopra al letto, una dea in vestaglia bianca con un gran sorriso in volto. «Avete tardato, temevo che vostro padre vi avesse scoperto a guardarmi il fondoschiena con il telescopio.»
    «Non temete» assicurò lui: «non c’è pericolo che accada.» Risero assieme. Non importava nulla in quei momenti, erano loro e il loro amore, nessun stupido vincolo che impediva di frequentarsi li avrebbe separati. Ormai non sarebbe più stato possibile. Non c’era spazio nel suo cuore che non fosse già stato riempito da Juliet.
    «Credete che se i nostri genitori venissero a sapere di noi non ci separerebbero?»
    «Non oso nemmeno immaginare tale supplizio, siete parte di me, del mio cuore, e un cuore non si può dividere.» Il ragazzo alzò una mano verso l’ologramma.
    «Oh Romeo» fece la ragazza, alzando anche la sua senza però avvicinarla. Romeo sapeva che se la sua mano l’avesse attraversato il dolore di non poterla toccare sarebbe stato ancora più pesante.
    «Un giorno staremo assieme, per sempre» giurò lui, sicuro che quel desiderio tanto ardente sarebbe diventato realtà.

    I giorni si susseguirono veloci, impotenti lasciavano che la fatidica data si avvicinasse verso l’ignaro Romeo. Lui era sempre più in dubbio. Da giorni stava riflettendo su come avrebbe potuto scendere verso terra per congiungersi in fine con la sua metà, eppure la possibilità che quello non fosse davvero la scelta giusta lo rendeva inquieto. Scendere in un paese che aveva costretto il suo popolo all’esilio, lui, un abitante dei dirigibili. Che pazzia! Non era all’inizio degli anni ottanta, dove ancora si poteva sperare in un nuovo mondo, dove il golpe che aveva scatenato la guerra tra il regno di Gran Bretagna e il regno d’Irlanda, poi chiamati da tutti Regno di Terra e di Aria, non era ancora successo. Aveva interrogato anche Juliet, le aveva chiesto come sarebbe stato se non fosse mai successo nulla e lei, semplicemente, gli aveva risposto che i loro destini si sarebbero incrociati ad ogni modo.
    Passò la giornata a pensare a come sarebbe stato riuscire a scendere giù, poter stare finalmente con lei, sfiorarle la pelle, baciarla per la prima volta. Non gli importava di ciò che andavano contro con il loro comportamento, erano pronti a tutto pur di stare assieme ed era solo questione di tempo. Era sicuro che si sarebbero finalmente congiunti. Quella sicurezza, però, venne a mancare la notte seguente, quando Juliet, in lacrime, gli confessò di essere stata promessa sposa a un uomo. Quelle parole privarono Romeo del sonno e della ragione per parecchi giorni. Lo ammutolirono, lo fecero diventare più sedentario. Fino a quando, trovatosi a vagare tra i corridoi del dirigibile, finì davanti alla sala del Re. Dentro sentì pronunciare il suo nome. Riuscì a scorgere il Re e la Regina osservare un vestito da cerimonia.
    «Che significa?» chiese Romeo, entrando di gran carriera. «Cos’è quel vestito?»
    «Romeo?» fece la donna, sorpresa, pensando a qualche scusa, che poi scartò. «Mio Re, è giunto il momento di dirgli la verità.»
    Romeo fece alcuni passi in avanti. «Cosa? Cosa dovrei sapere?»
    «E va bene!» Sbottò Re Tilford: «Da due mesi si è deciso che sposerai una ragazza del popolo della terra, questo sancirà l’atto d’unione che cinquant’anni fa e stato negato.»
    A Romeo mancò il fiato, era in programma il suo matrimonio e non gli era stato detto. Cosa peggiore era che così si allontanava la possibilità di scappare con Juliet. «Non potete decidere una cosa del genere! È la mia vita!» esplose di colpo Romeo.
    «Non discutere, è già deciso, non puoi sottrarti al tuo dovere» mise in chiaro il vecchio Angus, con il tono di chi non ammetteva nessuna replica.
    «Non è mio dovere risolvere i problemi causati da gente stupida come voi!»
    «La salvezza del popolo viene prima di tutto, e questo è un sacrificio che dovrai fare, che tu lo voglia o meno» Rispose il Re, ricordandogli il dovere di principe. Romeo non riuscì a dire altro. Si voltò e lasciò la sala correndo verso i suoi alloggi.
    Passò la notte in silenzio, con l’eco visivo di Juliet a fianco, entrambi con il peso del futuro sulle spalle. Juliet era già agitata di suo e darle quella straziante notizia avrebbe voluto dire separarsi. Perciò finse che nulla fosse mai accaduto, cercò di calmare la ragazza, di darle supporto anche se era cosa ardua.
    «Non avrà mai il mio cuore» sussurrò Juliet, con il volto tra le mani. Fu l’ultima frase che Romeo udì prima di addormentarsi accanto a lei, forse per l'ultima volta.
    La mattinata del matrimonio il principino venne svegliato dal generale Hewitson e portato al cospetto del Re. Indossò il vestito da cerimonia, pensando se anche Juliet stesse facendo la stessa cosa.
    «Be’, non hai ancora voluto sapere chi sarà tua moglie» disse Hariette, osservando da lontano l’opera dei sarti: un vestito che gli calzava a pennello di un bianco lucido con finiture dorate, cappello a cilindro intonato e un bastone da passeggio d’oro massiccio. Romeo si limitò al silenzio.
    «Penso t'i incuriosirà sapere che si tratta di una ragazza del regno d’aria.» A quelle parole il ragazzo la osservò, chiedendosi se avesse sentito bene interpellò la madre.
    «Una ragazza da sotto? Chi è? Qual è il suo nome?»
    «Juliet Blackham, figlia di Bertram Blackham, nonché principessa del regno di terra.»
    «Juliet?» quasi urlò lui, finalmente con gli occhi aperti verso la palese realtà.
    «Sì, il vincolo salverà il popolo d’aria e sancirà l’atto d’unione che cinquant’anni orsono…»
    «Madre!» la interruppe allora lui, abbracciandola. «Portatemi il più presto possibile da lei!»
    Il dirigibile venne dirottato verso il palazzo centrale del regno di terra, ad aspettarli un corteo di ufficiali e nobili, in prima linea un maggiordomo. Il dirigibile calò a fino a toccare terra, riempiendo tutto il piazzale. Il Re, la Regina e il Principe del Regno d’Aria scesero e andarono incontro al maggiordomo. Il Re Tilford allungò il collo in cerca del Re Blackham, o della Regina, ma non li vide.
    «Re Tilford, mi scuso per la mancanza del Re ma c’è stata una tragedia.» La voce del maggiordomo era grave.
    «Cosa è successo?» s’intromise Romeo, con un nodo alla gola.
    «Si tratta della principessa, sono assai rammaricato nell'informarvi che è stata trovata morta stamani nei suoi alloggi.»
    Le gambe di Romeo minacciarono di cedere, suo padre fu lesto ad afferrarlo prima che crollasse a terra. Nessuno si poteva immaginare tale reazione perché nessuno sapeva il reale rapporto tra lui e la figlia del Re.
    «Sto… sto bene» rassicurò Romeo, cercando di raddrizzarsi. «portatemi da lei per cortesia, vorrei almeno vederla.» Guidato dal maggiordomo, che aveva acconsentito, venne condotto nella stanza privata di Juliet, il Re e la Regina stavano piangendo fuori dagli alloggi. Romeo chiese di rimanere solo. Crollò a terra davanti al letto, lei disposta per bene con le lenzuola a coprirla. Riuscì a trovare la forza di rialzarsi e scoprirle la faccia, sotto solo l’ombra svanita del sorriso che aveva amato. Si era uccisa? Era stata colpa sua? Il loro amore aveva fatto ciò?
    Sì.
    Juliet aveva desiderato di stare o con lui o con nessun altro e lui era stato uno stolto a non aver capito subito che era lei che avrebbe dovuto sposare. Ma ormai era morta. E Romeo con lei. Si chinò, le baciò la fronte e disse poche parole, passando la mano su uno stretto pugnale che portava al fianco.
    «E così con un bacio io muoio.»
     
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