Olimpiadi Letterarie

Il processo

Gruppo Fiori - Genere: intervista

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Giovievan
     
    .

    User deleted


    Una lampada accecante le schizzò in faccia la sua luce bianca.
    La prigioniera saltò sulla sedia e tremò, poi si rese conto di essere legata. La bocca tappata da un pezzo di nastro adesivo, le gambe in catene, le braccia incollate alla sedia e strette da corde. Non sarebbe andata da nessuna parte, e questo le fu subito chiaro.
    Tutt’intorno a lei il nulla, solo una poltrona rossa imbottita. Le ci volle un po’ per notare le vetrate: correvano lungo tutto il soffitto, come dei balconcini blindati, e dietro di quelle mille occhi che la osservavano.
    Il panico la sopraffece. Sapeva perché era lì. Già stava iniziando ad agitarsi quando sentì la voce.
    «Bene, bene… bentrovati, signori! In questa nuova, meravigliosa giornata, abbiamo con noi un’ospite speciale… vero, cara Ansia?»
    Col cuore in gola provò a voltarsi, ma senza riuscirci. Dei passi alle sue spalle le lasciarono capire che chiunque avesse parlato stava avanzando verso di lei.
    «Scusami se ho dovuto legarti e imbavagliarti, ma mi hanno raccontato che sei una tipa piuttosto scocciante. Non sapevo come avresti reagito altrimenti… quindi, eccoci qui.»
    Apparve, superandola, ma non riuscì ugualmente a vederlo. Era uno della squadra? Questo non riuscì a capirlo, ma si impegnò a osservarlo meglio. Era alto, possente, minaccioso. Non credette di aver mai visto nulla di peggio nella sua vita, e per un attimo ebbe la certezza che sarebbe morta.
    Ora mi ammazza… ora mi ammazza proprio, ma senza dubbio…
    Il misterioso rapitore (ma l’aveva rapita? Era davvero possibile che le sue colleghe non avessero detto nulla? E se fossero state proprio loro a chiamarlo? Anzi, era sicuramente così, come poteva essere altrimenti, erano tutte lassù a guardarla…) le si avvicinò, strappandole il nastro adesivo dalla bocca con un colpo secco. Poi si sistemò sulla poltrona, ma la luce bianca che la stava accecando le impedì di osservarlo bene.
    Ansia iniziò a piagnucolare.
    «Ma chi sei… e cosa vuoi da me… e dove siamo…»
    «Chi sono non importa. E nemmeno dove siamo. L’unica cosa che mi interessa è ciò che vogliamo da te: sono qui per farti qualche domanda. Come vedi sono tutti curiosi.»
    Sulle balconate le altre la guardavano in silenzio, come aspettandosi che l’oscuro rapitore la ammazzasse da un momento all’altro. E forse era proprio ciò che sarebbe accaduto.
    Ora mi sgozza… anzi peggio, mi lascia qua per sempre…
    «Non mi sembri molto a tuo agio. Brutto, vero, essere prigioniera di te stessa? È così che si sente Alice ogni volta.»
    «Cosa ho fatto di male?» squittì Ansia. «Io non ho fatto nulla… lavoravo solo con le altre… facevo il mio dovere…»
    «Se è davvero così non hai nulla di cui preoccuparti. Mettiti comoda… iniziamo.»
    Ansia stava per esplodere dalla frenesia. Improvvisamente le sembrava che le pareti le si richiudessero addosso e che la stanza fosse più stretta di prima, e andasse restringendosi ancora, e ancora…
    «Allora, Ansia, parlami un po’ di te. Sono ormai ventidue anni che convivi con Alice… come ti trovi al Quartier Generale?»
    «Be… bene.»
    «Hai mai avuto dei problemi con le altre? Litigi?»
    «A volte capita di litigare… ma alla fine torniamo sempre d’amore e d’accordo… insomma, ho un carattere un po’ particolare…»
    «Capisco, capisco. Ti senti benvoluta, nella squadra, quindi?»
    «Credo… credo di sì.»
    «Ottimo! E dimmi, dov’eri ieri alle ore ventiquattro e otto minuti?»
    Il gelo che le calò addosso le pietrificò la lingua.
    «Ero… ero… ero… in turno di notte, come sem… sempre.»
    «Ed eri sola?»
    «Eh… c’era con me Serenità, ma…»
    Deglutì. Quel rapitore sconosciuto avrebbe potuto ucciderla per una bugia, e lei non voleva morire così giovane. Doveva inventarsi qualcosa.
    Lo sguardo corse in alto, verso gli spalti da cui le sue compagne osservavano la scena, cercando gli occhi di Serenità. La luce bianca non le permise di vederla, ma ne era certa, l’avrebbe difesa, si disse, l’avrebbe sicuramente difesa.
    «Ma?» incalzò lui.
    «…ma ultimamente è sempre molto stanca e quindi mi ha chiesto se potesse riposare lasciando a me il comando, e io ho detto di sì.»
    Il rapitore sorrise e ad Ansia quella reazione non piacque per niente.
    «Ah sì? A me è stato detto altro. A me è stato detto che stai diventando un po’ prepotente, o sbaglio? Te lo richiederò una sola volta: dov’eri ieri alle ventiquattro e otto minuti?»
    «In… in sala comando.»
    «E dov’era Serenità?»
    «L’ho… l’ho chiusa fuori.»
    «L’hai solo chiusa fuori?»
    «L’ho addormentata e chiusa fuori.»
    «Ora mi piaci. E perché lo hai fatto?»
    Non c’erano speranze, non c’era via di scampo. Sarebbe morta lì, su quella sedia in mezzo al nulla, per mano di uno sconosciuto, sotto gli occhi di tutte. Tanto valeva dire la verità.
    «Perché volevo stare un po’ alla consolle. Ho diritto anch’io a un po’ di comando! Cosa accadrebbe se Alice smettesse di sentire l’urgenza delle cose perché io me ne sto in disparte? Come dovrei fare a esistere, sapendo di non star facendo il mio dovere?»
    «Cosa stavi facendo ieri alle ventiquattro e otto minuti?»
    «Ho preso il controllo.»
    «E?»
    «Ed era da troppo che non ci stavo, quindi ho pensato di dover recuperare il tempo perso.»
    «Da quanto tempo non ti impossessavi della consolle?»
    «Una settimana. Mi tenevano lontana, ma cosa ci sono a fare se non mi permettono di interagire?»
    «Sai questo tuo gesto cosa ha causato, vero?»
    «No.»
    Il rapitore fece un gesto verso di lei, e mentre Ansia si chiedeva cosa significasse, alle sue spalle udì dei passi.
    «Tu cosa ne dici?» chiese l’oscuro intervistatore.
    Un attimo di pausa, poi il nuovo arrivato si schiarì la voce e parlò.
    «Stamattina mi sono avvicinata alla consolle per il mio turno e ho trovato Ansia a premere tutti i pulsanti in rapida successione, senza un criterio. Dopo aver ripreso il controllo mi sono accorta che Alice era alla frenetica ricerca di qualcosa. Stava cercando, su internet, informazioni sui vari tipi di tumore al cervello e i loro sintomi. Ho provato a spiegarle che il mal di testa è normale conseguenza dell’insonnia, ma nessuna di noi è riuscita a riprendere in mano la situazione.»
    Ansia aveva riconosciuto la voce… Razionalità.
    Maledetta.
    L’intervistatore tornò a guardarla, minaccioso.
    «Cosa avevi intenzione di fare?»
    Ansia sentiva la sentenza avvicinarsi. Colpevole, colpevole, mille volte colpevole, giustiziatela, tagliatele la testa!
    «Avevo paura. Non è normale avere mal di testa per cinque giorni di fila. Non credo che sia per l’insonnia. Poi non è vero che non dorme…»
    «È così?»
    Razionalità intervenne.
    «Dorme, ma a stento un’ora a notte, spesso dalle tre alle quattro del mattino. Poi si alza e vaga per casa in preda al panico, chiedendosi che senso abbia vivere se poi, alla fine, arriva la morte a cancellare tutto.»
    L’avevano denunciata. L’avevano denunciata e ora lei doveva morire.
    «Cosa hai da dire a tua discolpa, Ansia?»
    «Non sono dubbi legittimi? Alla fine a cosa serve sprecare tempo a vivere, se poi magari domattina esci per strada e muori?»
    Lui scosse la testa, poi tornò alla carica.
    «Dov’eri sei giorni fa alle ventitré e dodici?»
    Il cuore le si strinse in petto. Sapeva che sarebbe andato a parare a quello. Non aveva intenzione di tirarla per le lunghe.
    «Sì, d’accordo, ho preso la consolle, e sì, l’ho sovraccaricata. Lo so. Se mi lasciassero starci più spesso forse imparerei a usarla senza sbagliare ogni volta!»
    «Quindi non è la prima volta che accade?»
    Ansia sbiancò, ma il rapitore sorrise. La stava prendendo in giro.
    «Tranquilla, so già la risposta.»
    Un nuovo cenno alle sue spalle, nuovi passi. Stavolta la voce era inconfondibile.
    «Serenità, tu sei sempre con lei nei turni di notte, quindi la conosci bene. Ci parli un po’ di Ansia e del suo problema?»
    Un sospiro profondo.
    «È sempre stata prepotente. Prima prendeva potere per poco, di giorno, facendoci allontanare con delle scuse, e gli attacchi di panico di Alice erano sporadici, anche se intensi. Inoltre la presenza di Ansia accanto alla consolle ci distraeva dal nostro dovere e Alice sentiva sempre un’inquietudine di sottofondo. Avevamo deciso di controllarla a vista, e siamo riusciti a impedire le sue follie… finché ultimamente, sempre di notte, quando siamo solo io e lei, non ha iniziato a diventare violenta e a scacciarmi, o a tentare di impossessarsi della consolle con la forza causando ad Alice attacchi d’ansia, di panico e paralisi nel sonno. Sei giorni fa per la prima volta l’ha tenuta sveglia tutta la notte. Da allora Alice si è portata dietro i residui di questo gesto scellerato, e forse le sarebbe passato se, stanotte, non mi avesse drogata e chiusa nello sgabuzzino.»
    Si alzò un’ovazione di stupore tutt’intorno, poi un brusio.
    «Oh, queste sono accuse pesanti. Come ti difendi?»
    «Io ho fatto tutto per il suo bene! Dovete credermi!» Ansia iniziò ad agitarsi sulla sedia. «Alice stava trascurando molte cose, e io dovevo ricordargliele… vivo anch’io in questo corpo e non ce la faccio a vederla mentre attraversa la strada con tanta nonchalance, o mentre spreca così tante ore a stressarsi studiando e mettendo da parte Gioia e Serenità, o mentre dorme tranquilla senza pensare che potremmo spegnerci da un momento all’altro! E io non voglio morire!»
    L’intervistatore scuoteva la testa.
    «Ansia, avrai capito perché sei qui. Dopo questa chiacchierata confermo che la squadra ha ragione: tu hai un problema. Hai scocciato tutti qui dentro, con le tue fobie e paure irrazionali, e nessuno ha intenzione di continuare a sottostare alle tue stronzate. Quindi decidi: vuoi uscire da questa stanza e fare l’emozione seria, oppure vuoi restarci? Perché è questo che accadrà finché non ti calmi.»
    Ansia sbarrò gli occhi, guardandosi intorno.
    «Io voglio essere rispettata!» urlò. «Voglio avere il mio spazio, come tutte le altre! Lo pretendo!»
    «Non capisci? Devi metterti in un angolo e tacere! Devi smettere di pretendere un posto che non puoi avere! È più chiaro, adesso?»
    «Fatemi uscire! Voi non avete il diritto!» le sue urla finirono strozzate in un sibilo. «Io voglio soltanto fare ciò che fanno le altre… voglio proteggere Alice… non posso stare in un angolo a soffrire per lei, mentre lei rischia di dimenticare quanto è fragile, sola e poco rilevante nell’universo…»
    «E invece dovrai farlo, Ansia, oppure ti terremo segregata qui per sempre. E io sono quello buono… ci saranno altri che verranno dopo di me, pronti a distruggerti se non la smetti. Spero sia chiaro.»
    Ansia smise di dibattersi e iniziò a tremare, e il rapitore si alzò. Solo allora trovò il coraggio di chiederglielo.
    «Ma tu chi sei?»
    Lui continuò a camminare, superandola e dirigendosi verso la porta d’uscita. Sentì i suoi passi bloccarsi, vide la luce spegnersi di colpo.
    «Il tuo giudice e carceriere: Alprazolam, cara Ansia, ma tu chiamami pure Xanax. Rifletti. Ci vediamo tra dodici ore, tornerò a farti altre domande.»
    La porta si chiuse, tornò il silenzio e su Ansia calò il buio.
     
    Top
    .
  2. MyaMcKenzie
     
    .

    User deleted


    Mi è proprio piaciuta questa tua prova, Gio.
    Originale e divertente, con un epilogo inaspettato.
    Se devo farti un appunto, forse non è propriamente un'intervista, ma ci si avvicina parecchio.
    Brava
     
    Top
    .
  3. Giovievan
     
    .

    User deleted


    Grazie Mya, sempre gentile :wub: corro a leggere il tuo!
    Per quanto riguarda l'appunto
    CITAZIONE
    forse non è propriamente un'intervista

    concordo con te... diciamo che ho virato, ma provando ad attenermi a Wikipedia per i punti cardine (ovviamente domande, evidente interesse per la persona intervistata e presenza di un pubblico). Purtroppo quest'idea mi piaceva troppo e non sono riuscita a produrre altro.
    Che i giudici facciano di me ciò che vogliono, io mi sono divertita troppo a scriverlo :D
     
    Top
    .
  4. MyaMcKenzie
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Giovievan @ 12/10/2017, 00:10) 
    diciamo che ho virato, ma provando ad attenermi a Wikipedia per i punti cardine (ovviamente domande, evidente interesse per la persona intervistata e presenza di un pubblico). Purtroppo quest'idea mi piaceva troppo e non sono riuscita a produrre altro.
    Che i giudici facciano di me ciò che vogliono, io mi sono divertita troppo a scriverlo :D

    Magari questa tua originalità verrà vista come un punto a favore, preciò... in bocca al lupo.
    Eh, sì, si sentiva proprio il tuo divertimento, ce l'hai trasmesso
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    complicatrice

    Group
    Administrator
    Posts
    3,476
    Location
    aliena decisamente

    Status
    Anonymous
    10740
     
    Top
    .
4 replies since 11/10/2017, 22:53   45 views
  Share  
.