Olimpiadi Letterarie

Paroliere errante

Gruppo cuori / steampunk

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    Paroliere si siede alla scrivania, le dita lunghe e magre tambureggiano sulle labbra in cerca d’ispirazione. Dopo qualche minuto di intensa attività mentale l’uomo tossisce, si gratta il mento pronunciato e sgrana gli occhi. Non ha mai visto una roba simile, eppure capire come quel marchingegno funzioni gli faciliterebbe il processo creativo di non poco.

    Lord Penny White era un uomo schizzato che amava la solitudine della sua casa londinese, tra le cui mura passava la maggior parte dell’anno. Gli piaceva leggere, studiare le mappe degli esploratori del passato, ma il suo passatempo preferito era di tutt’altro genere: costruire invenzioni per migliorare la sua vita di aristocratico annoiato.
    Nel corso degli anni (stava per entrare nella settima decade) aveva immaginato e prodotto diversi macchinari e strumenti utili alla popolazione, però di un aggeggio in particolare era molto orgoglioso: la sua penna stilografica capace di riversare su carta i pensieri della gente.
    Quella sera, dopo aver consumato una cena leggera ed essersi scolato un bicchierino del suo amato sherry, si era ritirato nello studio per scrivere una lettera commerciale. Avanzò fino alla porta massiccia, lo scricchiolio degli stivali interrompeva un silenzio quasi tombale. Non si rese subito conto di quanto accaduto in sua assenza.
    La tremula luce delle sibilanti lampade a gas illuminava la stanza. Un’espressione confusa si dipinse sul volto ovale: non ricordava di averle accese. Guardò a sinistra poi a destra, non c’era nessuno. Lord Penny White trasse un sospirò di sollievo. Il pensiero che qualcuno potesse rubare i suoi preziosi progetti lo terrorizzava.
    La stanza sembrava in ordine, il segno che la cameriera era passata da poco. Prese mentalmente nota di rimproverarla per la sua dimenticanza e procedette in direzione della scrivania.
    Un morsetto regolabile assicurava una barchetta di rame rossastro a un angolo dello scrittoio vittoriano in noce con il ripiano rivestito in cuoio pregiato. La barchetta, lunga all’incirca 50 centimetri, terminava con un giunto cardanico dal quale si snodava un altro braccio capace di fare una rotazione di 365°. Una terza barchetta, unita alle altre due da un congiunto, finiva con un’impugnatura sagomata in modo da adattarsi a una mano che tenesse una penna: quattro scanalature per le dita e una rientranza per il pollice.
    Lord Penny White storse il naso. Qualcosa mancava. Strabuzzò gli occhi, guardò meglio. Impossibile, si disse allarmato. Era sicuro al 100% di aver lasciato la penna stilografica nell’impugnatura.
    Doveva essere stata quella sciagurata di Jenny, la nuova cameriera. Da quando era arrivata succedevano di continuo cose strane. All’inizio credette fossero solo coincidenze, ma ora non ne era più convinto.
    «George, George!» gridò uscendo dallo studio. Si fidava solo del suo maggiordomo. Sarà lui ad aiutargli a smascherare la ladra. Quella penna stilografica era più preziosa di quanto si potesse immaginare. Nelle mani sbagliate poteva persino fare danni.

    Paroliere osserva l’impugnatura dalla quale spunta il pennino. Sotto di esso, all’estremità dei tre bracci, una piattaforma inclinata. La tocca. Si sorprende al scoprire che scorre su un sistema di binari dentati montati sulla scrivania. A sinistra c’è una manovella. Prova a girarla: è lei che fa spostare la piattaforma. Paroliere gioisce.

    Lord Penny White andava giù e su per lo studio, furioso. Quella stupida cameriera continuava a negare di essere entrata dentro. Ripeteva di continuo di essere innocente. Avevano cercato dappertutto nella sua stanza, della penna stilografica non c’era nemmeno un’ombra. George aveva riunito nel salotto tutta la servitù: nessuno sapeva niente.
    «Non è possibile!» sbuffò, le mani dietro alla schiena, e si incamminò di nuovo. Destra, sinistra. Su e giù, la testa fumava di pensieri orripilanti. Si fermò di colpo. Estrasse l’orologio dal taschino del panciotto ricamato. Segnava le nuove di sera. E se quella avesse già venduto la penna? Aveva tutto il tempo di farlo. A mezzogiorno l’aveva mandata a fare compere.
    «Non può essere!»
    Dietro i ricchi tendaggi che ornavano le ampie finestre si intravedeva la nebbia, la grigiastra e insana nebbia di Londra che aveva sicuramente inghiottito già la sua preziosa penna capace di fare l’impensabile: vergare su carta ogni pensiero, bello o brutto che fosse, di razza umana.
    «Senza il resto però non può funzionare… »
    Per poter scrivere con la sua preziosa scoperta bisognava avere a portata di mano tutto il meccanismo. E a meno che il ladro non riuscisse a portar via anche lo scrittoio, e quella scema di Jenny era così magra che non poté immaginarla di fare un’impresa del genere. Quel pensiero lo tranquillizzò. Il suo segreto più grande sarebbe rimasto al sicuro.

    Paroliere è incredulo: un rotolo di carta, non se lo aspetta proprio. C’è un supporto in ghisa nella parte superiore della piattaforma. La carta scorre sulla superficie di scrittura e sembra essere raccolta da un rullo nella parte inferiore del piano inclinato. Per far funzionare il ruolo bisogna girare la manovella che si sposta in contemporanea con il piano sulla scrivania. Paroliere esclama di sorpresa. Gli manca però qualcosa, un ultimo tassello che sembra sfuggirgli ancora.
    Si sposta, cambia l’angolazione. Scivola giù. C’è qualcosa sotto la scrivania. Un recipiente trasparente, a occhio e croce di una grande capienza. Forse cinque litri. È pieno di un liquido blu scuro. Dovrebbe essere inchiostro, ragiona Paroliere a voce alta. Per fortuna nessuno può sentirlo.
    Il recipiente è chiuso da un tappo dal quale diparte un tubo che si collega al pennino attraverso i bracci in ottone. Per far trasportare l’inchiostro alla penna c’è una pompa che funziona con la spinta sul pedale. Come la ciliegina sulla torta un motore a vapore che regola tutto il meccanismo.
    — Il vecchio ha pensato proprio a tutto!


    La notte calò. Un vento forte s’innalzò, ululava di continuo. Lord Penny White si girava nel letto, inquieto. Il sonno si rifiutava di arrivare. George gli aveva portato una tisana calda, preparata con delle erbe miracolose del suo paese, ma non sortì l’effetto spirato. Non riusciva a smettere di pensare all’accaduto. Senza quella penna non era niente e nessuno. Si sentiva come si gli avessero strappato il cuore. Non era così triste nemmeno per la morte della sua amata figlia, Sunny.
    Era da tanto tempo che non pensava a lei. Quanta bontà leggeva nel suo viso illuminato e negli occhi celesti! Di statura esile e di una grazia innata, faceva girare la testa a chiunque. Quando passava non c’era uomo a Londra e nei dintorni che non si inchinasse davanti alla sua eterea bellezza. La volevano sposare tutti.
    Lui però, come ogni padre che si rispettasse, era geloso. Difficilmente avrebbe dato la mano di Sunny a chiunque. Le augurava il meglio.
    Le aspettative del lord erano troppo alte. Nessun giovane primeggiava. Sunny, intanto, aveva compiuto vent’anni e ancora non aveva trovato la sua anima gemella. Rischiava di rimanere zitella a vita.
    Un giorno Londra si svegliò illuminata da uno splendido sole rosso. Era una domenica di inizio estate. Sunny si annoiava a casa e chiese al lord il permesso di andare a prendere la frutta al mercato. Il padre, occupato con una delle sue invenzioni importanti, acconsentì.
    Il vestito rosso scarlatto scintillava e frusciava a ogni passo di Sunny, i capelli color oro profumavano di cannella. D’un tratto si scontrò con un ragazzo che correva e qualcuno alle sue calcagna gridava ladro, ladro. I loro sguardi si incrociarono. Sorrisero all’unisono e si presero per mano.
    Iniziò così, con un semplice tocco, il primo amore della figlia del Lord Penny White che, appena scoperto le origini umili gel giovane paroliere della corte, perse subito le staffe. Quella storia non avrebbe mai avuto il lieto fine.
    Di nascosto dal padre, Sunny cominciò a frequentare il bel Lunio. Appena poteva, scappava da casa e si incontrava con lui in un posto che entrambi consideravano segreto. Chiacchieravano, si abbracciavano. Le dedicava le poesie d’amore tenere e toccanti. Il cuore di Sunny vibrava di felicità. Aveva iniziato a cantare, ad adornare la casa con i fiori.
    Lord Penny White s’insospettì e decise di inseguire la figlia nelle sue frequenti passeggiate in città.
    Quando li vide, stretti nella morsa di passione, scoppiò come una bomba. Urlò, prese Lunio per un braccio e lo strattonò. Gli disse che doveva sparire dalla loro vita, altrimenti gli avrebbe fatto pagare caro per aver desiderato sua unica figlia.
    Sunny cercò di calmare gli spiriti, ammise di essersi innamorata di Lunio e chiese il permesso al padre di sposare l’uomo che amava.
    La faccia del lord sbiancò. La bocca grande bofonchiò convinta una sola parola. Mai.
    La triste storia finì con un duello dal quale lord Penny White uscì vittorioso. Due settimane dopo Sunny si buttò nel Tamigi dal dolore.

    Paroliere, seduto alla scrivania, stringe la penna nella mano. Dovrebbe essere felice per la sua vendetta e invece…. abbassa lo sguardo giù, sulla carta. La penna si alza è scrive seguenti parole: Mi ha tolto la cosa più preziosa che avevo, l’amore della tua figlia Sunny. È ora è il momento di pareggiare i conti. L’occhio per l’occhio, dente per dente.
    La penna cadde a terra con un rumore insolito. Lord Penny White non sentì nulla. Morì alle 3:33 per un motivo apparentemente banale. Per vendetta di un fantasma errante e innamorato.
     
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