Olimpiadi Letterarie

Il disegno del rossetto

gruppo Cuori, Cick-lit

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  1. Blacksteam
     
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    Nulla, credetemi, nulla può essere più convincente di una donna che ti afferra d’improvviso i testicoli, guardandoti dritto negli occhi. Te puoi essere chiunque: un uomo tutto d’un pezzo come un avvocato, un carabiniere ligio al dovere oppure un uomo super controllato come Trump. Sta di fatto che in quel momento ogni pensiero si bloccherà su una sola singola frase.
    Mi sta stringendo le palle?
    E non puoi fare nulla perché sei un uomo e di fatto, inequivocabilmente incapace di pensare a qualsiasi altra cosa a parte il sesso, inizi a capire che quello strano approccio radicale, per quanto pericoloso, un po’ t’attizza.
    Ma facciamo un passo indietro, poi qui ci torneremo, tranquilli.

    Era partito tutto da un convegno sull’editoria e sulle nuove frontiere che avrebbero reso gli e-reader molto più versatili, sopprimendo così la vera utilità per cui erano stati creati. Un po’ come i cellulari, aveva detto qualcuno. L’incontro si era tenuto in un albergo di lusso, dove, causa la durata di due giorni, mi era stata prenotata una stanza dalla casa editrice per cui lavoravo. Non male la struttura. Divanetti comodi e stanze immacolate, dalla jacuzzi onnipresente assieme allo champagne che magicamente compariva tre volte al giorno già sotto ghiaccio sul tavolo della cucina.
    La prima giornata fu stancante. Quattro, intense, ore ad ascoltare un tizio di cui nome non avevo afferrato, che si destreggiava tra editoria e battute seminate qua e là che non facevano ridere neppure il suo amico alle diapositive.
    A mezzogiorno scappai al bar per cercare di tirarmi su e la vidi. Mora. Alta. Fisico stretto in un vestito scarlatto. Mi sedetti al bancone, osservandola. Il pensiero che potessi essere inopportuno mi arrivò un paio di minuti dopo, quindi distolsi lo sguardo, gesto che il barista interpretò come un via libera.
    «Cosa le posso portare?» mi chiese, rimanendo in attesa mentre raggruppavo le idee.
    «Oh… un caffè, grazie.»
    «Arriva subito.»
    Il barista si allontanò e mi lasciò in preda ai pensieri. Girai lo sgabello, in cerca della donna dal vestito aderente. La notai parlare con un uomo, lui annuì, lei continuò il discorso. A un certo punto lui alzò una mano e prese le distanze, poi si voltò e se ne andò. Io rimasi a osservare la donna, che si guardò intorno fino a incrociare il mio sguardo. Rimasi con il caffè in mano, deciso a sostenere il gioco di sguardi, poi lei venne verso di me. Si avvicinò al bancone, prese posto sul seggiolino accanto al mio, accavallando le nude gambe, mentre il barista arrivava con il mio caffè.
    «Buon pomeriggio» salutò lui, affabile. «Le posso portare qualcosa?»
    «Un altro caffè, per piacere» disse, voltandosi verso di me. «Bello lungo» aggiunse. Io sorrisi, non so in realtà se quello che avevo prodotto fosse un sorriso o una sorta di smorfia scomposta. Sta di fatto che lei rimase a sorseggiare il caffè, senza dire una parola. Avvicinava le labbra avvolte da un rossetto rosso lucido alla tazzina, e a ogni sorso un brivido mi partiva lungo il corpo fino a fermarsi in una parte sola. Cercai di non guardarla, finendo la mia brodaglia ormai semifredda, ma un occhio non riusciva a fare a meno di seguire ogni suo contorno. I capelli neri a spirare, le labbra carnose, la pelle nuda di un rosa chiaro che veniva coperta troppo tardi dal vestito, lasciando intravedere un generoso seno. E poi sempre il vestito, così dannatamente sexy, che si fermava a metà coscia, fornendo una degustazione visiva delle lunghe gambe. Avrei voluto dire qualcosa? Certo, ma temevo che se avessi aperto bocca mi sarebbero usciti solo monosillabi senza né capo né coda. Quindi la lasciai andare, mi avvinghiai all’ultimo sguardo che mi scoccò e la seguii con gli occhi uscire dall’albergo.
    «Lo vuole un consiglio?» Il barista era apparso dal nulla e si era appoggiato al bancone per osservare anche lui la porta da cui era uscita la donna. «La lasci perdere, non fa per lei.»
    Io lo guardai, lui mi sorrise. «E che ne sa?»
    «Io so molte cose, e se le dico che non fa per lei, non fa per lei.»
    «Vada per favore.»
    «Io lo faccio per lei…»
    «Vada» ripetei, secco. Lui allora si allontanò e mi lasciò solo. Capii che restare lì sarebbe stato solo più frustrante, quindi decisi di salire in camera e iniziare la relazione su ciò che si era detto nella prima parte del convegno.
    Alle sei avevo scritto tutto, molto condensato e senza le battute del tizio. Salvai, spensi il pc e accesi la jacuzzi, con l’idea di regalarmi un po’ di meritato relax. M’immersi nei trentasei gradi dell’acqua mentre ribolliva producendo un suono rilassante. Mi sedetti e mi lasciai cullare. Uscii quaranta minuti dopo, mezzo rincoglionito e spossato per esserci rimasto troppo. Quelle vasche erano magnifiche fin che ci rimanevi dentro, appena uscivi e affrontavi la gravità una stanchezza immane ti assaliva all’improvviso. Mi ci volle un po’ per riprendermi e quando ci riuscii decisi di scendere e andare a cena nel ristorante dell’albergo. Avevo sentito ottime recensioni al riguardo, non che si potessero permettere nulla di meno. La sala era gremita di gente, il rumore che ne usciva era un misto tra adulti che si raccontavano che cosa era successo in quei giorni, camerieri che prendevano gli ordini, alcuni bambini che urlavano e correvano per i tavoli. Tutto condito dal rumore delle posate e delle sedie che venivano spostate per essere sistemate nel migliore dei modi dai loro possessori. Mi rattristii nel notare che non riuscivo a vedere un tavolo libero, quindi andai incontro al direttore di sala.
    «Buonasera» mi salutò, elegante nel suo abito scuro con il panciotto.
    «Buonasera, vorrei un tavolo per uno.»
    «Uhm» fece, rammaricato, allungando il collo verso la sala. Incrociò lo sguardo con un cameriere, alzò la mano mimando un uno con il pollice. Il cameriere si guardò attorno e indicò un tavolo in fondo alla sala.
    «Prego, l’accompagno.»
    Seguii il direttore che mi condusse fino a un tavolo da due posti, mi fece accomodare e mi chiese se desiderassi del vino. Annuii. Mi misi a scegliere che mangiare dal menù, c’era un sacco di roba super costosa che tanto non avrei pagato io, quindi decisi e poi chiusi il menù. Cercai con lo sguardo il cameriere, però vidi prima la ragazza dal vestito rosso all’entrata. Era lei. Stava parlando con il direttore, forse cercava un posto ma lui le stava facendo di no con la testa. Lei mi guardo, io ricambiai. Lei disse qualcosa, il direttore mi guardò e la portò dritta dritta verso il mio tavolo.
    «Mi scusi ancora signorina, non sapevo che foste assieme» disse il direttore, facendola sedere davanti a me. Io non sapevo che dire. Lei aspettò che se ne andasse e poi, finalmente, mi rivolse la parola.
    «Scusami, i tavoli sono tutti pieni e ci tenevo a mangiare qui. Spero che questo posto non sia già occupato da qualcuno.» Mi scoccò un sorriso, la sua voce era ancora più bella del suo aspetto.
    «N… no, è liberissimo!» feci, forse alzando un po’ troppo la voce, risultando acuta più del necessario.
    «Ti ringrazio. Io sono Elsa.» mi porse la mano, io gliela strinsi.
    «William, piacere.»
    «Ho una fame allucinante!» disse lei, prendendo il menù. Notai che i prezzi esorbitanti dei piatti non ebbero nessun effetto su di lei, ipotizzai quindi che non fosse nuova nel frequentare ristoranti del genere. Era visibilmente indecisa, sfogliava le pagine assumendo un’espressione corrucciata.
    «Tu che hai preso?»
    «Volevo ordinare Mac And Chees e un filetto alla Wellington.»
    Lei annuì. «Ottima scelta.» Chiuse di sua volta il menù e un minuto dopo arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni.
    La fissai molte volte, era difficile non farlo, anche perché quel rossetto le stava d’incanto. Lei se ne accorse, non ero molto bravo a nasconderlo. «Che c’è?» mi chiese, posizionando il gomito sul tavolo e appoggiando il mento sul palmo della mano.
    «È che… sei bellissima.» Ormai era inutile far finta che non me ne importasse, era chiaro che ne ero ammaliato.
    «Ti ringrazio» rispose lei, arrossendo e sorridendo.
    «Io… ti ho vista parlare con un uomo ieri, spero che non sia accaduto nulla di male.» Buttai quella domanda giusto per capire che fosse successo, ma anche per sapere che affinità avesse con quel tizio.
    «Oh, no, nulla di grave. Dovevo incontrarmi con quell’uomo per trattare di… un affare, ma non è andata bene.»
    «Di cosa ti occupi?» indagai.
    «Sono nel ramo finanziario, sai, entrate, uscite, cose così…»
    Intelligente e bella, pensai, sembrava perfetta.
    Portarono i primi piatti, che liberai dal contenuto in giro di pochi minuti, mentre imparavo a conoscerla meglio. Venni a conoscenza che era una violinista, che le piaceva il cioccolato fondente e detestava i film romantici.
    Finimmo il filetto, entrambi soddisfatti, e ci dirigemmo verso le camere. Lei alloggiava a un piano sopra al mio, perciò mi offrii di accompagnarla. Non c’era altro momento per giocarsela se non quello. Si fermò davanti alla porta b44, l’aprì e poi si girò verso di me.
    «Be’, è stato bello» dissi, improvvisamente incapace di andare oltre.
    «Sì, molto» rispose lei.
    «Be’» ripetei, «buona notte.»
    In quel momento avrei potuto dire molte altre cose, tutto ma non buona notte. Avevo messo un punto alla serata che sarebbe stato difficile togliere, che stupido! Fu a quel punto che successe.
    Senza che potessi accorgermene la sua mano scattò verso le mie parti basse. Rimasi basito. La guardai, lei mi guardò e la sentii stringere.
    Mi sta stringendo le palle?, pensai. E sì, lo stava facendo, e sembrava soddisfatta della mia reazione. Mi trascinò dentro con facilità, mi portò in camera e mi buttò sul materasso. In un attimo fummo entrambi nudi, uno sopra all’altra, avvinghiati come polipi ansimanti in preda alla frenesia. Le piaceva quando andavo forte, più lo facevo più si aggrappava alle lenzuola quasi urlando. Quando le dissi che stavo per venire lei mi fece uscire, volle avere il controllo di quel momento. Mano e bocca lavorarono insieme per un unico scopo, come una Justice League del sesso. Non le ci volle molto per ottenere il risultato, che aggredì il suo viso d’improvviso.
    Che notte indimenticabile!
    M’addormentai sopra di lei, ma al risveglio non la ritrovai. Era uscita, non sapevo quando, lasciandomi solo un biglietto.
    “Di solito ne chiedo centocinquanta, ma per te sono cento” con uno smile e un bacio a colorare tutta l’amarezza di quel momento.
    Era un’escort. Ramo finanziario, aveva detto.
    Entrate e uscite.
    Cazzo.
    Appunto. Merda.
    Andai in bagno, nudo. Appoggiai la mano sopra al water. Sorrisi nel vedere che l’amico là sotto aveva uno simpatico contorno rosso.
    Vabbè, un’altra cosa che avrei messo nel conto della ditta.
     
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