Olimpiadi Letterarie

Titì e la parmigiana di melanzane

Gruppo Fiori - fiaba

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  1. Giovievan
     
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    C’era una volta, in un lontano paesino della periferia napoletana di nome Qualiano, una bambina che si chiamava Titì.
    In realtà, ovviamente, Titì non era il suo vero nome. Si chiamava Concettina, così come la sua nonna, che aveva molto insistito affinché la moglie del figlio scegliesse di seguire le tradizioni e, come dicono in quei magici luoghi lontani, “mettesse ‘a supponta”.
    In fondo, però, Concettina non era ancora abbastanza grande per preoccuparsi del suo nome: aveva solo dieci anni ed era una bambina sveglia e intelligente, già iniziata alle arti tecnologiche da quando ne aveva sei. Era così brava e spigliata nell’utilizzare l’iPad di suo padre, e così affascinata da quell’ammasso di circuiti e pixel, che un giorno, dopo aver cercato su Wikipedia cosa significasse, iniziò ad andar dicendo in giro di voler fare l’ingegnere informatico e di volersi quindi iscrivere dopo le medie al liceo scientifico.
    Questo preoccupava molto la mamma di Concettina, a cui fin da piccola era stata tramandata una delle più importanti responsabilità della sua famiglia: quella di saper cucinare come solo le mamme napoletane sanno fare. Maria era cresciuta con lo scopo di tramandare alla figlia quell’arte, ma si sa, le donne in carriera – e soprattutto gli ingegneri – non sanno cucinare; per questo motivo, angosciata per il futuro della sua bimba, Maria decise di istruirla fin da subito, trattando il tutto come un gioco. E in effetti Concettina si divertiva pure.
    Una domenica mattina presto Maria chiamò a sé la piccola Concettina per una nuova sessione intensiva ai fornelli. Quella volta la pietanza prescelta era un classico, uno di quei piatti che la mamma napoletana non può non saper preparare alla perfezione: la parmigiana di melanzane.
    Concettina era entusiasta. Quando la parmigiana si mostrò loro in tutta la sua magnificenza, ricoperta dal suo spesso strato di pomodoro e provola, la mamma ne tagliò una discreta fetta, la mise in una discreta teglia e la coprì con una discreta quantità di carta stagnola; poi, in modo del tutto inatteso, la piazzò tra le mani di Concettina.
    La bimba afferrò la teglia ancora calda, spiazzata, guardando la mamma con uno sguardo interrogativo.
    «Che ne dici di portarla a nonna Tittina?» domandò la mamma. «Dobbiamo andare a pranzo da lei oggi, ma io e tuo padre ci metteremo un po’ a prepararci: facciamole la sorpresa, sono sicura che le farà molto più piacere vedersela portare da te! Mi raccomando, Titì, diglielo che l’hai fatta tu, ché la nonna ne è contenta!»
    «Ma… io non so la strada!» si lamentò Concettina. In effetti la casa della nonna non era molto lontana, ma Qualiano era pieno di vicoletti e stradine, e Concettina aveva solo dieci anni. D’accordo, a volte usciva dalla sua strada da sola per comprare il pane al piccolo negozio di alimentari che si trovava all’angolo, ma non si era mai spinta così lontano…
    Mamma Maria si fermò qualche attimo a riflettere, poi ebbe l’illuminazione. Si fiondò in camera da letto, aprendo qualche cassetto alla ricerca di qualcosa; dopo poco riemerse con il bottino, un iPhone 4S che era stato abbandonato lì dentro da almeno un paio d’anni quando era stato sostituito dai suoi successori. Però funzionava ancora.
    Si accese, silenzioso, e in alto a sinistra l’icona della batteria brillò del tutto piena.
    In realtà mamma Maria non aveva mai davvero saputo usare quell’aggeggio se non per Facebook e WhatsApp, quindi lo consegnò a Concettina, che nonostante fosse ancora troppo piccola per possedere un suo telefono personale, grazie all’uso del tablet già sapeva destreggiarsi con iOS.
    «Ecco, aiutati con questo. Io non ho idea di come fare, ma tu sicuramente sì.»
    La bambina sbuffò e afferrò l’iPhone, aprendo l’applicazione di Google Maps a colpo sicuro. Dopo essersi informata sul nome della strada impostò il navigatore, indossò un’auricolare e fu pronta a partire. O quasi. Ancora prima che potesse uscire, infatti, la mamma la intercettò con qualcosa di rosso tra le mani.
    «Mettiti questo, fa freddo fuori!»
    Fuori facevano venticinque gradi, ma si sa come sono le mamme. Titì si infilò il cappotto senza fiatare. Del resto era il suo cappotto preferito: un piccolo bomber rosso pomodoro di Zara che la nonna le aveva regalato a Natale.
    «Mi raccomando, Titì, fai attenzione» si raccomandò la mamma. «Non fermarti a parlare con sconosciuti e non perdere tempo per strada. Ricorda che è pericoloso!»
    «Non preoccuparti, mammina, ti faccio fare uno squillo dalla nonna quando arrivo!»
    Fu così che, armata di Google Maps e parmigiana di melanzane, Titì uscì di casa. Appena mise piede in strada si accorse che c’era un gran vento e si infilò il cappuccio rosso del bomber.
    «Procedi in direzione est verso via Antonio Palumbo» la informò il navigatore. «Arriverai a destinazione alle ore dieci e trentotto minuti
    Sbuffò. Le faceva piacere andare a trovare la nonna, ma fare tutta quella strada da sola la annoiava a morte. Fu per questo che, giocando con l’iPhone con la mano libera dalla teglia, si inoltrò nella libreria iTunes di sua madre e scoprì la sua playlist musicale, facendo partire a palla “Non dirgli mai” di Gigi d’Alessio. Concettina preferiva Selena Gomez, ma dovette accontentarsi.
    Mentre camminava verso la sua meta, ogni tanto il navigatore prendeva il posto di Gigi d’Alessio e le indicava la strada giusta da fare. Il percorso previsto era di venti minuti, ma l’iPhone, che già di per sé aveva dei problemi, era stato lasciato troppo a lungo fermo in un cassetto e non riuscì a reggere. Dopo dieci minuti di cammino ogni rumore nelle auricolari cessò.
    Titì rimase in attesa qualche secondo, pensando che il silenzio fosse momentaneo. Quando provò a riaccendere il dispositivo, però, notò che la batteria era del tutto scarica.
    “Oh no!”
    Rimase ferma a pensare. Avrebbe potuto tornare indietro, ma cosa avrebbe pensato la mamma se avesse fallito la sua prima missione fuori casa?
    Si fece coraggio e avanzò. Si arrese all’evidenza dopo qualche minuto: non aveva idea di dove andare. Almeno, però, conosceva il nome della strada.
    Si guardò intorno. Era domenica mattina e alla mezza ci sarebbe stata persino la partita del Napoli, quindi le strade erano deserte. O almeno lo sembravano. In lontananza, infatti, un pallone volò in aria catturando il suo sguardo; proveniva dalla villa comunale.
    Mise piede nel parchetto guardandosi intorno. C’era una confusione di persone, lì dentro: mamme con passeggini, ragazzi che giocavano a calcio e altri fermi a parlare tutt’intorno. Pareva di essere in un altro mondo.
    Chiese, d’istinto, al primo ragazzino che vide. Era più grande di lei e sedeva su un motorino fermo in compagnia di altri ragazzi, poco lontano da due squadre di calcetto che si azzuffavano tra loro.
    «Scusa, per caso mi sai dire dov’è via Gaetano Donizetti numero sessanta?»
    Il ragazzino si voltò a guardarla.
    «Perché?»
    «Devo portare questa parmigiana di melanzane a mia nonna, ma il mio iPhone si è scaricato e non trovo la strada. Per caso sai dirmi dov’è?»
    Lui parve interessato. Osservava sott’occhio la teglia che portava in mano, e Titì lo notò.
    «Certo, vuoi che ti accompagni?»
    La mamma le aveva sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti, quindi la bambina si affrettò a scuotere il capo.
    «No, guarda, mi serve solo sapere dov’è.»
    «Insisto, ti accompagno» disse lui, facendole cenno di porgergli la teglia. «Sarai stanca di portarla, ci penso io.»
    «Ti ringrazio, ma non sono stanca.»
    Titì era piccola, ma comprendeva bene che quel ragazzo era più interessato alla sua parmigiana che a lei. Non l’avrebbe ceduta per nulla al mondo.
    Il ragazzino scrollò le spalle.
    «Vabè. Allora devi uscire di qui, andare a sinistra e girare alla seconda a destra.»
    «Grazie, ciao!» si affrettò a salutare lei, voltandosi. Fece come le era stato indicato, accorgendosi che senza navigatore aveva preso la strada opposta a dove doveva andare e rincuorandosi: aver chiesto, almeno, le era servito. Dopo nemmeno cinque minuti mise piede in via Donizetti. La riconobbe al primo sguardo.
    Dopo un sospiro di sollievo si avviò verso la casa della nonna, il villino al numero sessanta.


    Antonio aveva capito di aver risolto tutti i suoi problemi dal momento in cui aveva visto quella bambina dal cappotto rosso.
    Sua madre sarebbe stata al lavoro fino alla sera, e a casa lo attendeva una pentola piena d’acqua in cui calare la pasta che, per noia e per non togliere tempo alla partita, avrebbe mangiato in bianco. L’idea di gustarsi una bella parmigiana di melanzane gli faceva venire l’acquolina in bocca.
    Montò in sella al suo motorino e arrivò al numero sessanta di via Donizetti due minuti dopo, sicuramente prima della bambina, se andava a piedi. Diede uno sguardo alla casa e bussò al citofono; gli rispose una voce anziana e roca.
    «Chi è?»
    «Nonnina, sono tua nipote, ti ho portato la parmigiana!» disse, imitando la voce della bambina. Il cancello si aprì subito e lui poté entrare, mettendosi in attesa davanti al portone.
    La bambina arrivò pochi minuti dopo e quando vide il cancelletto già aperto non perse tempo a bussare. Entrò subito e con sua grande sorpresa si ritrovò proprio di fronte ad Antonio. Sobbalzò.
    «Oddio! Che ci fai qui?»
    «Mi trovavo a passare. Incredibile, vero? Non disturbarti a salire le scale, dai questa a me, la porto io alla tua nonna.»
    Afferrò il ruoto con decisione e provò a toglierlo da mano a Titì, ma lei resistette.
    «Pensi che sia scema? Tu vuoi imbrogliarmi, vuoi solo la mia parmigiana!» disse lei. Antonio si ritirò. Non aveva più senso negare, a quel punto.
    «E ja, che ti cambia? Tanto la tua nonna avrà già cucinato altre mille cose! Mica mangiava solo questa!»
    «No» fu costretta a confermare lei. «Ma io l’ho fatta per mia nonna, mica per te!»
    «Io sto solo a casa e mi scoccio di cucinare» svelò lui. Titì si addolcì un po’. In fondo ne aveva altra, a casa, per sua nonna.
    Proprio mentre stava per chiedergli perché passasse la domenica da solo, una voce roca li zittì.
    «Ma quanto ci metti a salire, Titì? Mi hai bussato un quarto d’ora fa.»
    Nonna Tittina era sulle scale, impacchettata nel grembiule da cucina. Guardò lei, poi Antonio con sguardo torvo.
    «Chi è questo? Un amico tuo?»
    Titì annuì senza pensarci. «Mi ha accompagnata.»
    «Sono Antonio, piacere» colse la palla al balzo il ragazzino. La nonna scrollò le spalle.
    «Vuole mangiare qua pure lui? Mo’ fa la partita, il nonno già sta sul divano.»
    «Boh, vuoi mangiare con noi?» domandò Titì. Lui le sorrise, annuendo.
    Questa è la storia di come Concettina e Antonio si conobbero prima di diventare grandi amici, e di come la parmigiana arrivò a casa della nonna sana e salva. Ovviamente la nonna aveva cucinato anche la pasta al forno e la carne al ragù, oltre che tre diversi contorni di melanzane, peperoni e zucchine, per cui, oltre che pieni, furono tutti anche felici e contenti.
     
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  2. MyaMcKenzie
     
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    Divertentissimo, brava Gio! Una fiaba in tutto e per tutto.
    Io credo di aver cannato di brutto... mai stata così in crisi come per questa prova. E pensare che pensavo fosse facile!
     
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