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SFIDA II - Genere: Articolo Giornalistico - Dalcapa

EUTANASIA. IL DIRITTO A UNA MORTE DIGNITOSA. - BRITTANY MAYNARD, IL RICONSOCIMENTO A UN’ARTISTA DELLA VITA.

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  1. dalcapa
     
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    EUTANASIA. IL DIRITTO A UNA MORTE DIGNITOSA.


    BRITTANY MAYNARD, IL RICONOSCIMENTO A UN’ARTISTA DELLA VITA.


    Sono bastati pochi mesi per rendere la morte di Brittany Maynard un’opera d’arte. Sì, perché come avviene spesso per i più grandi artisti, è solo post mortem che arrivano i riconoscimenti. Nel caso di Brittany, poi, l’artista e l’opera d’arte coincidono in un tutt’uno. Brittany Maynard aveva 29 anni quando, fresca di matrimonio, aveva scoperto di essere affetta da un male incurabile. Un tumore al cervello, nella forma più letale e aggressiva, l’avrebbe consumata in pochi, pochissimi mesi, regalandole un fine vita di atroci dolori e senza alcuna speranza di guarigione. Brittany Maynard viveva a San Francisco, California, stato americano dove l’eutanasia non era ammessa. Comincia, così, per Brittany, la sua battaglia, e non è la battaglia contro il male che la affligge, quella è persa in partenza. Brittany lotta per ottenere il diritto di decidere come morire. Il tumore l’avrà vinta sul suo corpo, ma lei non lascerà che sia lui a mettere la parola fine sulla sua vita. Non vuole lasciare che il male le rovini gli ultimi giorni della sua esistenza. Sarà lei a decidere il come e il quando dare l’addio ai suoi cari, alle persone che la amano e che ha amato, al mondo che l’ha accolta e che si appresta a lasciare fin troppo presto.
    L’argomento del fine vita e uno dei più discussi e delicati degli ultimi tempi. Ci si trova a confrontarsi con sensibilità diverse, con argomentazioni che prendono origine da questioni etiche e religiose, dove etica e religione fin troppo spesso vanno a confondersi. Ci si scontra con le convinzioni di chi ritiene la vita un valore sacro e intoccabile, che non può essere mai messo in discussione, in alcun caso. Non possiamo essere noi a decidere. La vita è un dono e in quanto tale va vissuto fino al suo ultimo attimo, e non importa se in quell’attimo le atroci sofferenze di una malattia ci divorano da dentro, se quello che resta del nostro corpo è solo il lontano ricordo di ciò che eravamo, se la possibilità di una vita degna è distrutta dall’incapacità di poter provvedere a noi stessi e le macchine subentrano a sostituire le funzioni di organi che ormai non funzionano più con il solo scopo di prolungare inutilmente la nostra agonia.
    Per alcuni un tale fine vita, che cancella ogni residua traccia di umanità dal nostro corpo, non può essere considerato un dono. Guardo la foto sorridente di Brittany, il suo cane accoccolato fra le sue braccia, e capisco ciò che l’ha spinta a fare la sua scelta e a intraprendere la sua battaglia: evitare che il ricordo del suo sorriso, della sua semplicità, della sua simpatia e dolcezza non vengano cancellati dal progredire devastante del male. Che cosa sarebbe rimasto di lei se avesse lasciato che il tumore facesse il suo corso? Di quella foto non sarebbe rimasto niente. Ai suoi cari sarebbe rimasto solo il ricordo delle sue inutili sofferenze, l’immagine del suo corpo devastato, del suo volto segnato non da un sorriso ma da una smorfia di dolore. Questa è la battaglia combattuta da Brittany, fare sì che ognuno possa decidere in piena libertà della sua esistenza, del suo fine vita, nel rispetto degli altri ma soprattutto della dignità umana che a ciascuno di noi è dovuta. La sua è una battaglia combattuta per se stessa ma anche per ciascuno di noi. Il suo volto sorridente e la sua determinazione ci fanno capire che la sua scelta è una scelta d’amore. Non c’è ingratitudine nel voler mettere la parola fine in modo dignitoso alla propria esistenza. Non c’è mancanza di rispetto, egoismo o vigliaccheria. Se la vita è un dono si può decidere e pretendere che questo dono non venga rovinato e odiato nei suoi ultimi attimi. Poter decidere che il modo migliore per valorizzarlo sia proprio quello di renderlo bello fino all’ultimo, a costo di anticiparne la scadenza. Sì, perché quando si parla di fine vita è un po’ come parlare di scadenza. A volte le cose si deteriorano prima del previsto e allora si rischia l’accanimento nel voler conservare fino all’ultimo un qualcosa che ormai sta chiaramente marcendo, andando a male, per poi buttarlo con una sensazione di malessere, di schifo, lo schifo per un qualcosa che non doveva finire in quel modo. Brittany ha vissuto gli ultimi giorni della sua viaggiando, stando insieme al marito, in famiglia, con i suoi cari. Ha cercato di godere nel modo migliore di ciò che la vita poteva ancora darle. Poi, quando la malattia ha cominciato a far sentire i suoi effetti, Brittany ha concluso la sua battaglia in Oregon, uno stato dove l’eutanasia è consentita. Ha concluso la sua vita stesa su un letto circondata dall’affetto dei suoi cari e assistita dai medici che le hanno prescritto i farmaci permettendole una morte serena. Ha concluso la sua vita senza sofferenza, con lo stesso sorriso che ancora oggi ci è dato di ammirare nelle sue foto. Se ne è andata serenamente, anticipando solo di pochi mesi una fine che già era stata scritta. Questa è stata la sua piccola vittoria sul male, ma la grande vittoria è arrivata pochi mesi dopo, quando, portando avanti la sua battaglia, la madre di Brittany e la fondazione creata a suo nome, la “Brittany Maynard Fund” in collaborazione con “Compassion & Choices”, hanno convinto Jerry Brown, governatore della California, a firmare il disegno di legge che permetta ai medici di prescrivere i farmaci per il fine vita.
    «Non so cosa farei se stessi morendo, con un dolore prolungato e straziante – ha scritto Jerry Brown -. Sono certo, tuttavia, che sarebbe un conforto avere la possibilità di valutare le opzioni offerte da questo disegno di legge. E non vorrei negare questo diritto agli altri».
    Quello che è successo Brittany succede con una certa frequenza anche qui da noi in Italia. I migranti del dolce fine vita. Persone che per poter godere del loro diritto di decidere della propria vita e della propria morte sono costrette a migrare nella vicina Svizzera o in altri paesi europei dove l’eutanasia è prevista per legge. Persone obbligate a viaggiare, a lasciare la loro casa, i propri affetti, il proprio paese per ottenere una morte dignitosa, mentre i politici sono più preoccupati a evitare le conseguenze di una scelta che per alcuni versi potrebbe risultare impopolare e danneggiarne l’immagine che ad affrontare con serietà un tema che richiede con sempre più urgenza e a gran voce una risposta adeguata.
    Sono passati pochi mesi e come accade per molti grandi artisti, per Brittany Maynard è arrivato il riconoscimento post mortem per la sua opera migliore, il diritto a una morte serena fra le braccia dei suoi cari, un diritto che ora potrà essere fatto valere da tutti i cittadini della California. È il diritto a una libera scelta e ci sarebbe da augurarsi che chi non è d’accordo semplicemente accetti che si può vivere in un mondo dove le persone, su temi così delicati, possono pensarla in modi differenti e possano godere, così, di diritti che magari non tutti condividono ma che alla fin fine non danneggiano nessuno, ma semplicemente garantiscono per tutti una vita, e un fine vita, dignitosi, scegliendo secondo la propria coscienza, i propri valori etici e, perché no, i propri valori morali e religiosi.

    Edited by violaliena - 31/10/2017, 21:54
     
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