Olimpiadi Letterarie

Frammenti del passato

Dialogo tra Alocacoc e Adicius

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  1. Achillu
     
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    “Raccontami di mia madre”
    La voce proveniva dal fondo della caverna. Era una voce stridula, che mal si accompagnava con la figura enorme da cui proveniva. Adicius era lì, in un angolo, che masticava lentamente i resti del montone catturato il giorno prima. Aveva iniziato a mangiarlo che ancora era vivo. Ora ne rimanevano qualche interiora e le ossa da rosicchiare.
    Alocacoc era sveglio e si aggirava pensieroso all’interno della grotta.
    Il lungo mantello volteggiava nell’aria immobile dell’immenso salone scavato nella roccia, guizzando insieme al nervosismo del suo padrone.
    L’essere volteggiava inquieto sussurrando tra sé e sé.
    “Devo fare qualcosa…” Sospirò nella semioscurità, mentre le parole appena udibili scivolavano sulle rocce bagnate tornando a lui senza risposte. Il mutaforma in preda ad un nervosismo che non gli era proprio, continuò a spostarsi per la stanza: nelle immense profondità scure del suo animo serpeggiava qualcosa di molto simile all’indecisione. Aveva bisogno di nutrirsi.
    “Raccontami di mia madre”
    La voce di Adicius lo risvegliò dai suoi pensieri.
    “Ma te lo avrò già raccontato almeno un centinaio di volte…”
    “Raccontami di mia madre!”
    “Era bellissima…”
    A quelle parole il volto di Adicius si illuminò.
    Alocacoc proseguì, la sua voce calda e profonda:
    “Tua madre era bellissima. Un fiore nel deserto. Un giorno venne da me e mi disse che sentiva che stava succedendo qualcosa di strano. Il suo sguardo era diverso, un misto di paura e felicità. Le appoggiai una mano sul ventre. C’era una vita lì dentro, ma era nel posto sbagliato.”
    “Ero io?”
    “Ma lo sai già che eri tu, Adicius, questa storia te l’ho già raccont…”
    “Ero io?”
    “Sì, eri tu, ed eri nel suo stomaco.”
    Adicius scoppiò in una risata stridula.
    “Che c’è da ridere?”
    “Nello stomaco? Ma i bambini non crescono mica nello stomaco.”
    Alocacoc sospirò. Ogni volta la stessa storia, le stesse domande, gli stessi commenti.
    “Credi che non lo sappia. Ma tu ti eri piazzato lì e non c’era niente che potessi fare. Guardai tua madre dritto negli occhi. ‘Non sopravviverà nemmeno un giorno. Lo digerirai in poche ore’. Così le dissi. Lei mi guardò e sorrise. ‘Lo vedremo’. E se ne andò”
    Adicius fece un rutto.
    “Dentro la pancia il mangiare non manca!”
    “La rividi dopo un mese. Era dimagrita. Ma aveva la pancia gonfia. Mi guardò dritto negli occhi. Senza dirmi niente mi prese la mano e se la portò al ventre. C’era ancora vita lì dentro. ‘Come hai fatto? Non è possibile’ Mi sorrise. ‘Tu sarai uno stregone, ma noi donne siamo tutte streghe’. Tua madre si era messa a dieta. Mangiava solo cibi che non dessero acidità. Faceva lavorare lo stomaco il meno possibile, e dopo un po’ cominciò a succhiarsi il latte dal seno. Tu sei un caso unico. Tua madre ti ha allattato che eri ancora nella pancia.”
    Adicius rise ancora.
    “Da quel giorno non l’ho lasciata più sola. Ogni giorno andavo a trovarla. C’era qualcosa di magico in quella gravidanza e dovevo fare di tutto perché le cose andassero bene. Ho cominciato a preparale intrugli, a procurarle cibo già digerito aprendo lo stomaco di animali, a nutrirla con tutto ciò che potesse tenerti in vita, ma più passava il tempo più la pancia diventava enorme e il resto si rimpiccioliva. La stavi divorando da dentro.”
    “Mamma, mammina, la morte si avvicina!”
    “Tuo padre era furioso. Se la prese con te e anche con me. Pensava fosse colpa dei miei intrugli, delle mie pozioni.”
    “E mamma?”
    “Tua madre aveva sempre quello sguardo: paura e felicità. Penso già sapesse come sarebbe andata a finire, ma non le importava. Un giorno mi guardò dritto negli occhi e mi fece promettere che non avrei dovuto lasciare che ti succedesse mai niente di male. Le dissi di sì. Mi ero innamorato. Non mi era mai successo. Sono uno stregone. Noi stregoni non dovremmo mai innamorarci, ma lei ci riuscì. Mi aveva stregato.”
    “Io non ricordo niente di mia madre.”
    “E come potresti mai ricordarti? L’hai conosciuta solo da dentro.”
    “Dentro la pancia il mangiare non manca…”
    “Per te credo fosse un po’ come stare in questa caverna. Al buio a divorare carcasse!”
    “A me piace questa grotta, e mi piace divorare carcasse. Che il mondo cascasse, evviva le carcasse.”
    “Gli ultimi giorni non aveva più nemmeno le forze per alzarsi. Tuo padre se ne andò poco prima che tu nascessi. Lo ricordo ancora lì sulla porta. Mi guardava con odio. Mi disse che non voleva esser complice di quell’abominio, che tu eri figlio del demonio, che ti lasciassi uscire dal buco del culo di tua madre, visto che di sicuro saresti stato un pezzo di merda.”
    Adicius rise ancora, ma in modo diverso. C’era rabbia nella sua voce.
    “Babbo babbino abbandona il suo bambino.”
    “L’ultimo giorno ormai c’era solo un filo a tenere in vita tua madre. Decisi che era il momento di farti nascere. Speravo ancora di poterla salvare, ma oramai era troppo debole. Alla prima incisione che feci lei esalò il suo ultimo respiro. Alla prima incisione che feci si sentì il tuo primo urlo nel mondo. E fu terribile.”
    Dal fondo della caverna ora si sentiva il respiro di Adicius e il rumore dei denti che rosicchiavano le ossa del montone. Nel silenzio una lacrima andò a solcare il volto dello stregone. Con la lingua la raccolse. La inghiotti. Era dolce e salata, come quello sguardo che non riusciva più a dimenticare. Eccolo, il nutrimento di cui aveva bisogno lo stregone. Le sue lacrime, una rarità, che solo il ricordo di quegli occhi pieni di paura e felicità era in grado di far nascere. Lo stregone aveva bisogno di purezza. Questo era il solo suo alimento, e Adicius, nella usa violenta innocenza, ne era una fonte inesauribile.
     
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