Olimpiadi Letterarie

In fuga dalla setta

Brano g+n

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    IN FUGA DALLA SETTA


    – Preghiamo.
    Una testa che si china non fa rumore, ma la chiesa è attraversata da un fruscio quando tutti obbediamo prontamente all’ordine ricevuto. Anch’io abbasso la testa, ovviamente, perché so che mio padre solleverà lo sguardo per controllare che il suo gregge lo segua fedelmente.
    La mia forma di ribellione sta nell’impiegare il tempo a osservare quelli seduti di fianco a me invece di pregare. Reina muove le labbra sussurrando parole inudibili, mentre Anton fissa corrucciato l’inginocchiatoio davanti a sé con la tensione che gli disegna sul viso una profonda ruga a lato della bocca; di certo non ha l’espressione serena di un fedele venuto ad ascoltare la parola di Dio. Chissà cosa gli passa per la testa.
    La voce squillante di mio padre rimbomba nella chiesa e il fruscio riporta le teste in posizione verticale. Lo sento invocare divine maledizioni contro qualcuno, sotto lo sguardo attento dei fedeli che annuiscono convinti. Soffoco uno sbadiglio, mi si inumidiscono gli occhi per lo sforzo e quando li asciugo lo vedo osservarmi con un’espressione compiaciuta convinto che il suo sermone mi abbia colpito.
    Il resto della funzione passa con una lentezza estenuante, ma alla fine ci alziamo e usciamo in file ordinate. Mio padre, sul portone, ci aspetta per stringerci la mano, ma riesco a evitarlo passando dietro a Reina che lo impegna con domande sui passi della Bibbia che ha letto la sera precedente.
    Mi dirigo verso casa con il suo sguardo fisso sulla mia nuca e un brivido lungo la schiena.
    La tavola è già apparecchiata e il cibo è in caldo nella pentola; mi tolgo la cuffia da esterno e indosso la cuffietta bianca da casa, sistemo le ultime cose e mi siedo ad aspettarlo sotto lo sguardo attento di un crocefisso e della foto giovanile del fondatore della setta e del suo pastore: mio padre.
    Due cuori e un’anima. Nera.
    La porta sbatte e lui entra con passo pesante, appende il soprabito e siede a tavola in attesa del cibo.
    Lo servo velocemente, in silenzio e mi siedo di fronte a lui; a quel punto mi prende le mani attraverso il tavolo e, a testa china, recita la preghiera del ringraziamento; evidentemente non abbiamo pregato abbastanza, in chiesa. Le preghiere non sono mai troppe.
    Mangiamo senza scambiare una parola, con il tintinnio delle posate come colonna sonora.
    – Ho parlato con Eddy – dice pulendosi con il tovagliolo, a fine pasto – e abbiamo deciso che tu e Jack vi sposerete fra quattro mesi.
    Lo guardo incredula: niente lasciava presagire uno sviluppo del genere.
    –Mi sposerò con Jack?
    – Sarai la sua quarta moglie.– Risponde annuendo.
    – Jack ha quarant’anni ed è mio cugino.
    –Lontano cugino e comunque questo non è mai stato un problema per noi, lo sai benissimo. Dobbiamo tenere il sangue puro e non farci contaminare dal mondo esterno, preda del demonio. In questa comunità, grazie a me, siamo tutti destinati al paradiso. E’ un impegno duro ma sono lieto di offrire il mio sacrificio al Signore.
    – Non voglio sposarmi – ancora non credo di aver pronunciato quelle parole. Lo guardo sperando che non abbia sentito, ma dalla sua espressione capisco che è una speranza vana.
    La donna ascolti l'istruzione in silenzio, con piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dettar legge all'uomo, ma se ne stia in pace. Chi l’ha detto? – mi domanda con gli occhi lampeggianti.
    – Dalla Prima Lettera a Timoteo – rispondo meccanicamente abbassando lo sguardo mentre lui annuisce
    – Come prosegue? – insiste
    Missione della donna è prima di tutto quella di comunicare la vita e allevare i bambini – rispondo in un sussurro. – Bene! Vedo che siamo d’accordo.
    – Ho sedici anni e non voglio sposare Jack.
    – Non sei tu che decidi quale sia il bene della comunità, Anne. Sei solo una donna. Non farmi vergognare di te! Sei la figlia del pastore! Non è ammissibile che proprio tu ostacoli il volere di Dio.
    – Non ostacolo il volere di Dio! Ostacolo il TUO! – Sbatto le mani sul tavolo e balzo in piedi.
    “Sto Urlando In Faccia A Mio Padre”.
    Non riesco a capire chi dei due sia più sconvolto. Il cuore batte impazzito e sto ansimando.
    Da una parte del tavolo lui: la pacatezza, la sensatezza, la forza morale di Dio; dall’altra parte del tavolo io: l’insensatezza, la ribellione e l’isteria della creatura maledetta da Dio per aver corrotto Adamo nella notte dei tempi.
    Lui si alza con calma, senza scomporsi e si sfila la cinghia. La piega a metà tenendone i capi in una mano e mi invita ad andare da lui per la giusta punizione. Io mi allontano e cominciamo a girare attorno al tavolo in senso inverso. Sta cominciando a innervosirsi adesso: non ho più dieci anni e non può più, semplicemente, ordinarmi di farmi punire. Scappo in direzione della porta tentando la fuga, ma mi raggiunge sulla soglia, richiude la porta e mi spinge a terra. Mi sto rialzando quando la prima cinghiata mi arriva sulla schiena. Grido, di sorpresa e di dolore, ma cerco comunque di allontanarmi, quando cala un altro colpo e la fibbia, questa volta, mi colpisce le costole. Provo a rotolare via e, prona, vedo il suo volto trasfigurato: un’ira profonda ne distorce il lineamenti mentre alza ancora il braccio pronto a colpire.
    Non risparmiare la correzione al bambino; se lo batti con la verga, non ne morrà; lo batterai con la verga, ma lo salverai dal soggiorno dei morti – grida sferrando il colpo.
    Alzo il braccio e afferro la cinghia; non riesco a strappargliela dalle mani ma, almeno, non può più colpirmi.
    Mi rialzo in piedi e ci studiamo per un attimo, mentre strattona la cinghia per strapparmela di mano. Il fianco mi fa molto male: bene che vada mi ritroverò con un livido, male che vada mi ritroverò con una cicatrice in più.
    – Signore, ti imploro, perdonala! Parla al suo cuore e falla ravvedere in modo che non si allontani dalla strada che TU hai tracciato per noi. – prega a capo chino, imponendo la mano verso di me.
    Lo osservo, preda del torpore mistico, estraniarsi dal mondo e blaterale parole senza senso. Questo è il momento giusto per andarmene: lo aggiro silenziosamente e raggiungo la porta.
    Non fa in tempo a caricare il braccio che l’ho già richiusa alle mie spalle. Il rumore del metallo sul legno rimbomba per il corridoio; io penso solo a correre.
    Confido che non si metterà a urlare. Non attirerà l’attenzione sulla propria figlia che fugge, per lui sarebbe una vergogna.
    Tutta la comunità è intenta a mangiare, non c’è nessuno per la strada. In un momento di lucidità decido di attraversare i campi: è la strada più breve e le recinzioni alte mi proteggono dalla vista di pettegoli e spioni. Devo raggiungere la villa dei Quayle, so che danno protezione a chi scappa dalla setta. Non è facile correre con le pantofole e la gonna lunga sul terreno sassoso; il fianco pulsa e ora anche i piedi mi fanno male e chiedono vendetta.
    Una nuvola di polvere mi viene incontro in lontananza: è il pickup di mio padre, che si è messo in mezzo tra me e i Quayle! Cambio direzione e mi dirigo verso il parco. Dall’altra parte del torrente ci sono i Conway, sono mesi che non li vedo più in chiesa. È una strada molto più lunga ma, almeno, mio padre non può inseguirmi in macchina tra la vegetazione.
    Riesco a superare la recinzione prima che lui raggiunga la strada. Conosco ogni albero del parco fin da bambina. Giocavamo a nascondino, ai quattro cantoni, ad acchiapparella; poi lunghe corse spensierate fino al torrente, facendo a chi arrivava prima e “Chi arriva ultima è una pappamolla!” Io non arrivavo mai ultima perché non me ne fregava nulla di rovinare le scarpe o la gonna. Una volta tornai a casa con una sdrucitura brutta; mia madre non fece in tempo a nascondermi in camera e mio padre mi punì. Me lo ricordo bene perché mi colpì con la fibbia; giunse al punto di farmi sanguinare per la prima volta, proprio qui, vicino a dove mi ha colpita poco fa. No, non ha più senso una vita così.
    Ho i polmoni che scoppiano ma non importa; mi fermo per riprendere fiato solo ora che ho attraversato il ponte. Guardo indietro: non vedo nessuno. Risalgo lentamente la strada, immersa nei miei ricordi. All’improvviso una sberla violenta mi raggiunge, proprio sulla sommità dell’argine, e mi fa cadere lungo la discesa.
    Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto!
    Si sfila di nuovo la cinghia e carica il braccio.
    Onora tuo padre e tua madre, questo è il primo comandamento, affinché tu stia bene e abbia lunga vita sopra la terra.
    Rotolo giù per la china giusto in tempo per vedere la fibbia schiantarsi al suolo. Mi rialzo e ricomincio a scappare. Sento alle mie spalle il rumore di scarpe che slittano e un corpo che cade. Mi fermo e mi giro. Mio padre sta scivolando per la scarpata; tenta di aggrapparsi con le dita ma la terra gli si sbriciola in mano.
    – Aiutami, creatura del demonio!
    Resto impietrita a guardare mentre vola giù verso il letto del torrente in secca, sbattendo violentemente la schiena.
    Fa appena in tempo a urlarmi contro: – Hai visto cos’hai fatto? – Alcuni sassi gli franano addosso e gli fracassano il cranio. Lo stomaco mi si rivolta all’istante.
    “Nessuna mano dovrà toccare il colpevole: questo sarà lapidato; animale o uomo che sia, non dovrà vivere”. Non so se ridere o piangere di fronte a questo stupido pensiero.
    Raggiungo a passo lento la casa dei Conway in preda all’agitazione e ai sensi di colpa. Busso alla porta sul retro e mi apre Mrs Rosie. Il suo sorriso è turbato, devo essere proprio ridotta male. Mi getto tra le sue braccia e parlo, butto fuori tutto, non so nemmeno io cosa dico, ho solo l’urgenza di liberarmi da un peso. Piango e non singhiozzo nemmeno; le lacrime scivolano sulle guance e cadono, una dopo l’altra, sul mio vestito.
    Alla fine mi sento dire: – Aspettami qui. – Rosie mi affida a sua figlia Beth, che ha la mia età, e ci lascia in soggiorno insieme agli altri bambini. Finalmente asciugo gli occhi, metto a fuoco la stanza e mi rendo conto di aver fatto un errore.
    Sono vestiti tutti uguali.
    Le regole della setta: “Chi non fa parte degli eletti non può frequentare la funzione, per non contaminare coloro che sono puri.” Ma restano comunque membri e sono affidati a uno dei guardiani. Eddy! La sua voce aspra sbuca alle mie spalle, sovrasta gli schiamazzi giocosi dei bambini fino a farli zittire di colpo: – Dove sei, lurida assassina? Pagherai miseramente la tua colpa ignobile!
    Mi alzo di scatto ma Beth mi trattiene, povera mente plagiata. La trascino e la prima nerbata, destinata a me, la colpisce in pieno viso e molla la presa. Butto tutto ciò che posso tra me e quel pazzo furioso: sedie, tavoli, bambini. Ho la fortuna di trovare la chiave sulla toppa all’esterno della porta e lo chiudo dentro, guadagno un minimo di vantaggio obbligandolo a uscire da dietro. Imbocco il viale d’ingresso e corro, ancora una volta. In fondo alla strada c’è una casa abitata da ‘estranei’.
    Eddy è un ossesso, urla e attira l’attenzione dei vicini: – Fermati, assassina.
    Dio, tu, quello vero: fa’ che se ne restino solo lì a guardare; ti prego!
    Sono tutti chiusi in casa, ma Eddy sa come farli uscire e metterli contro di me; ogni sua parola è un ordine perentorio per i membri della setta.
    – Fermate quella peccatrice, in nome di Dio!
    Raggiungo la veranda dei Taylor e batto i pugni più forte che posso sulla porta di casa, mentre un numero imprecisato di uomini sbraitanti varca l’ingresso del viale con l’intenzione di trascinarmi via.
    Un colpo di fucile esplode vicino a me. Urlo. Mi accovaccio, terrorizzata. Mi fischiano le orecchie. Tutto mi giunge ovattato, non capisco se le grida sono terminate o se sono io a non sentirle più.
    – Fuori dalla mia proprietà!
    – Consegnaci la ragazza, Taylor; non t’immischiare. Ha appena assassinato suo padre!
    – Ho detto: fuori dalla mia proprietà! Adesso chiamo lo sceriffo.
    Se ne vanno, ma prima Eddy deve lanciare il suo anatema: – Chi protegge l’assassino e dice: ‘Non è peccato’, è compagno dell'assassino. Che tu sia maledetto: Temi il Signore, perché improvvisa sorgerà la sua vendetta!
    Mrs Taylor esce in veranda e mi aiuta ad alzarmi. Mi accompagna dentro e mi guarda preoccupata: – Cosa ti hanno fatto, povera ragazza?
    – Non l’ho ucciso, è stato un incidente! – Getto le braccia al collo della signora e piango; lei mi abbraccia, mi accarezza. In questo suo gesto assomiglia tanto a mia madre. Mi abbandono al suo amore e al mio ricordo. Finalmente riesco a singhiozzare.

    Edited by Flora* - 2/11/2017, 20:34
     
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  2. Flora*
     
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    Autori Stefia e Achillu
    Voto 8
    Coerenza 4
    Tropi: 3 e 4.
    Il personaggio cita spesso le scritture, questo toglie leggermente autonomia alla sua natura di templare. La morte karmica è invece ben realizzata
     
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  3. Achillu
     
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    Ciao Stefia. La sorte ci ha accoppiati. Non avevo dubbi che insieme potessimo tirar fuori un bel racconto ;)
     
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2 replies since 1/11/2017, 12:55   44 views
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