Olimpiadi Letterarie

Tramonto a Sunset Town

Sfida IV - Genere Western

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  1. Befana Profana
     
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    Joshua Bennett si versò tre dita di whisky.
    Dodici anni d'età, un nettare che faceva venire direttamente dalla Scozia, uno dei rari lussi che si concedeva. L'ostentazione non lo attirava, quello che amava era esercitare il potere, essere temuto. Lui che si era fatto dal niente.
    Figlio di miseri contadini dell'Oklahoma, destinato a spezzarsi la schiena su terre aride come tante generazioni prima di lui, aveva attraversato la metà del paese per tentare la sorte in California. Terra promessa per tanti, a quell'epoca: la notizia della scoperta dell'oro aveva attirato aspiranti cercatori da ogni angolo del continente.
    Contagiato dalla febbre del prezioso metallo, era anche lui partito con il sogno di scovare pepite nel fiume ma non gli ci era voluto molto per capire che la strada della ricchezza era un'altra.
    La serata si annunciava serena, non c'era un alito di vento; con il bicchiere in mano, uscì nel portico. Il silenzio era quasi totale, ne fu sorpreso, avvezzo com'era a sentire i suoi uomini cantare e chiacchierare sguaiatamente montando la guardia. La cosa però non gli dispiaceva: un po' di silenzio era gradevole.
    Il cielo s'arrossava avvolgendo tutto in un'atmosfera quasi incantata. Bennett sorrise: non era da lui emozionarsi davanti a un tramonto, le sole cose che lo facevano vibrare erano il denaro e la sottomissione negli occhi di chi gli stava di fronte.
    E di ricchezze e di uomini piegati al suo volere ne aveva accumulati a bizzeffe, nella sua vita.
    Alzò gli occhi al grande albero secco al centro dello spiazzo. La prima volta che aveva messo piede su quelle terre, molti anni prima, le sequoie erano ovunque: chilometri e chilometri di foreste, immutabili da secoli.
    Alberi, fiumi e stolti pellerossa che vivevano “in armonia con la natura”. Aveva capito il potenziale di quei luoghi al primo sguardo.
    Aveva osservato uomini affluiti da ogni dove gettarsi, praticamente a mani nude, nel greto dei torrenti in cerca di pagliuzze e minuscole pepite, per poi sperperare il poco che racimolavano, la sera venuta, tra alcool scadente e partite a carte.
    Lavorando con accanimento per settimane, setacciando lo stesso tratto d'acque, metodicamente, era pervenuto a trovare qualche minuscola particella d'oro. Era tutto ciò che gli serviva. La sua carriera di cercatore era finita, quella di uomo d'affari appena cominciata. L'indomani aveva galoppato fino a San Francisco per acquistare attrezzi, utensili e materiale utile ai cercatori. E qualche bottiglia di whisky degno di questo nome.
    All'inizio il suo era stato solo uno spaccio improvvisato su un telo steso a terra ma era l'unico a vendere ciò di cui tutti avevano bisogno.
    Nel giro di poche settimane il telo era diventato una baracca di legno. Mentre il numero di arrivanti cresceva e l'accampamento si mutava in insediamento fisso, la sua attività prosperava.
    Ben presto titolare di un vero emporio nella nascente cittadina di Sunset Town, aveva accumulato un piccolo capitale. Incapace di accontentarsi, si impossessò di appezzamenti di terra e foresta sempre più vasti diventando il principale fornitore di legno da costruzione.
    Una città che nasceva dal nulla era un'inesauribile fonte di ricchezza per chi aveva il suo senso degli affari: saloon; hotel; empori. Acquistava, creava e faceva prosperare.
    Da più di tre decenni ormai ingrandiva il suo impero: le foreste avevano lasciato spazio alla segheria Bennett e a ranch per l'allevamento dei cavalli. La sua immensa dimora si ergeva maestosa su una distesa quasi sconfinata di terre. La banca era sua così come diverse miniere e metà della città. Praticamente tutto quello su cui in quel momento ammirava stendersi la luce del tramonto gli apparteneva.
    Levò il bicchiere in direzione dell'albero. Aveva conservato quell'ultima sequoia in memoria di ciò che aveva realizzato.
    Neppure dopo che s'era seccata aveva potuto separarsene: gli rammentava suo figlio, Junior, che adorava quell'albero. Gli pareva di rivederlo tentare, maldestro ma ostinato, di arrampicarsi sull'immenso tronco. JJ, portato via tanto tempo fa da una brutta febbre a soli sette anni. Lontano per affari, non gli aveva nemmeno detto addio.
    Al suo rientro il bambino era già stato sepolto: non si scherzava con le febbri e il rischio di contagio. Sua moglie Mary non era mai più stata la stessa da allora e in poco tempo si era consumata fino a spegnersi.
    «Tutto quello che tocchi muore. Non è troppo tardi per capire che sbagli, – ricordava quasi alla lettera le parole del vecchio pellerossa – stai distruggendo tutto, anche la tua anima, uomo sciocco. Distruggi le foreste, scavi la terra sacra dei nostri padri, devi i corsi d'acqua, ma ignori che la terra non ci appartiene; noi apparteniamo a lei. Cosa lascerai a coloro che verranno dopo di noi? Pietre? Terre spogliate? Dove sono i frutti del tuo lavoro? Quando avrai abbattuto l'ultimo albero, deviato l'ultimo fiume, pescato l'ultimo pesce, ucciso ogni animale selvaggio, cosa mangeranno gli uomini, il denaro? Non ti lascerò prendere la terra dei miei padri, mi opporrò finché avrò vita, Bennett. Ciò che tocchi muore.»
    Aveva riso di quelle superstizioni: Nuvola di Pioggia era un vecchio ottuso incapace di comprendere il progresso. Irremovibile a lusinghe e minacce.
    Solo quando dei banditi mascherati avevano fatto irruzione nel villaggio indigeno di notte, razziando, bruciando, stuprando le donne e uccidendo gli anziani, la resistenza dei superstiti era stata annientata. Dopo la morte di Nuvola di Pioggia e degli altri saggi, i giovani avevano ceduto le terre a Bennett per un pezzo di pane. Sapevano tutti che era lui il colpevole, ma quale tribunale lo avrebbe condannato, con tutto il suo denaro e potere?
    Erano anni che non pensava al vecchio pellerossa: non era solito abbandonarsi alla malinconia. Diede ancora uno sguardo all'albero. Quello che tocchi muore: per questo suo figlio non c'era più? Stronzate, non aveva mai creduto a certe idiozie, eppure non aveva più voluto prender moglie.
    C'erano sicuramente bastardi suoi, nei paraggi, mezzosangue soprattutto, aveva sempre avuto un debole per le squaw. Ma di figlio vero ne aveva avuto solo uno: Joshua Junior.
    Polvere alla polvere.
    Posò il bicchiere e si diresse all'albero. Il sole era quasi interamente scomparso, la sera quieta. Troppo: si stupì di non sentire ancora nessun rumore, che stavano facendo i suoi uomini? Non li pagava per dormire né per oziare al saloon.
    Forse anche loro erano rimasti stregati dalla bellezza del tramonto. Scosse le spalle: non erano da lui certi sciocchi sentimentalismi. Cominciava a farsi vecchio.
    Allungò la mano a toccare il corpo secco e morto della vecchia sequoia. Gli sembrava quasi di sfiorare Junior: come sarebbe stato se avesse vissuto?

    Un brivido di freddo gli disse che era ora di rientrare ma un brusio infranse il silenzio, attirando la sua attenzione. Scrutò stringendo gli occhi nella luce sempre più fioca: gli parve scorgere un'ombra muoversi dietro una delle grandi rocce rosse che delimitavano la proprietà, forse un animale selvatico.
    Si chiese se fosse prudente andare a vedere ma con la sua fedele Remington alla cintura nemmeno un coyote avrebbe potuto resistergli.
    Giunto alla roccia non vide nulla, solo penombra.
    Prima che potesse voltarsi e tornare sui suoi passi, il rumore inconfondibile di una pallottola che entrava in canna lo immobilizzò. Un uomo gli si parò davanti.
    «Il mio amico ha un Winchester puntato contro la tua testa: muovi un solo dito senza il mio permesso e sei morto. Dammi la tua arma.»
    Bennet ubbidì. Guardò l'uomo: era giovane, non credeva di averlo mai visto ma il suo viso aveva qualcosa di familiare. O era solo un'impressione: i mezzosangue si assomigliavano tutti.
    «Siedi a terra.»
    Si sedette lentamente, a pochi passi dalla roccia.
    «È arrivato per te il momento di pagare,» riprese il giovane. Nella mano stringeva la pistola di Bennett.
    «Se è dell'oro che volete...»
    L'altro gli sferrò un ceffone.
    «Non interrompermi. Lo avremo, il tuo denaro, in questo stesso momento i miei compagni svaligiano la tua casa. E non sperare nel soccorso dei tuoi uomini: sono tutti morti. Prenderemo anche i cavalli: ci sono delle ottime bestie, almeno una cosa buona la sai fare. Bruceremo tutto prima di partire, che non resti nulla di te. È giunta l'ora di saldare il conto. Pagherai per tutto ciò che hai fatto. Hai rubato le terre del mio popolo; calpestato e scavato il suolo sacro dei nostri padri; bruciato le loro tende, ucciso gli anziani. E fra tutti il più grande saggio che...»
    «Parli di Nuvola di Pioggia? Avevo provato a convincerlo ma quel vecchio testone...»
    Un nuovo manrovescio lo zittì.
    «Era il padre di mia madre e la guida della mia gente. Senza di lui li hai privati di tutto, non avevano più case né guida: erano perduti. Molti sono finiti a lavorare per te, le donne ridotte a puttane nei tuoi saloon, altri si sono fatti banditi. Siamo i figli di quelle genti martoriate. Senza futuro, reclamiamo vendetta.»
    Un brivido corse lungo la schiena di Bennett: che quel giovane straripante odio fosse sangue del suo sangue? Mante e mante volte aveva goduto dei servigi della figlia di Nuvola di Pioggia nel proprio saloon: un buon commerciante testa sempre la qualità della sua merce. Era frutto dei suoi lombi, quel bastardo delirante?
    «Pagherai, Bennett, per ogni uomo morto o ridotto in miseria dalla tua bramosia, per ogni fiume deviato ad arricchire le tue miniere, ogni albero abbattuto, ogni bisonte ammazzato dai tuoi uomini per affamare il mio popolo e spingerlo più lontano. Hai seminato morte, raccoglierai morte. Se esiste qualcosa oltre la vita, per te ci saranno solo tormenti.»
    Una paura sconosciuta invase Bennett, lì, davanti a quella roccia rossa come un tramonto. La cercò con gli occhi: ora era scura, come un'ombra, come la notte che lo circondava pronta a divorarlo.
    Non era la morte a terrorizzarlo: aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato.
    Era il ragazzo, il suo volto, le sue parole. E se Nuvola di Pioggia avesse avuto ragione? Aveva sparso morte e distruzione per creare denaro. Solo denaro.
    Non aveva mai creduto a stronzate come Inferno e Paradiso, ma ora, al momento cruciale, si chiese cosa lo aspettasse se Dio o il Grande Spirito di cui parlavano i pellerossa esistessero davvero. Nessuna pietà per lui: solo castigo, espiazione eterna, dolore.
    Se gli uomini avevano un'anima, la sua avrebbe vagato in eterno contemplando l'abisso della sua stupida ossessione di ricchezza.
    Una vita intera passata a distruggere per creare un impero di polvere.
    "Quello che tocco muore, chi avrà pietà di me?"
    Il terrore lo avvolgeva come una seconda pelle, Bennett tremava.
    Non ricordava di avere mai pianto, nemmeno per la morte del figlio, ma fu attraverso le lacrime che vide il giovane mezzosangue puntargli contro la sua stessa Remington.
     
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