Olimpiadi Letterarie

Il viaggio di Marya

Sfida 1 - Genere Storico

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Befana Profana
     
    .

    User deleted


    Narrano i libri di storia che Marya Sklodowska, futura Marie Curie, non parlasse ancora una sola parola di francese, nel mese di settembre 1891, quando prese il treno che l'avrebbe condotta a Parigi, alla Sorbona e a un'ineguagliabile carriera scientifica. Ho forzato la realtà immaginando che lo avesse studiato, da sola, per prepararsi alla sua nuova vita. Era il solo modo di rendere verosimile questo fantomatico dialogo tra i due futuri coniugi, anni prima del loro effettivo incontro. Spero vogliate perdonarmi la libertà presa con la Storia :)



    Marya chiuse il libro e lo posò sul sedile.
    Si massaggiò le palpebre con le dita: il lungo viaggio e la lettura le avevano stancato la vista, gli occhi domandavano un po' di riposo.
    Soffocando uno sbadiglio, gettò uno sguardo distratto al paesaggio: la campagna fiamminga non sembrava diversa da quella prussiana ma, pur monotono, il paesaggio le riempiva il cuore di serenità. Si sentiva libera e piena di speranza da quando aveva oltrepassato i confini dell'impero russo. Persino il il treno, seppur così simile a quello in cui aveva viaggiato tutta la notte, le pareva più confortevole, più accogliente, più bello.
    Era felice, anche se Varsavia e suo padre le mancavano già.
    Il dolore della nostalgia non poteva però scalfire l'entusiasmo e l'eccitazione che provava al pensiero della nuova vita che la attendeva, dopo anni di sacrifici e rinunce. Pregustava già la gioia di rivedere sua sorella, Bronia. Una gioia tale che si ritrovò a ridere, da sola, nello scompartimento deserto.
    Ne fu stupita: lei, da sempre così seria e composta in ogni gesto e emozione. Forse era il segno del cambiamento, della nuova vita che iniziava.
    Non si accorse subito che qualcuno bussava alla porta dello scompartimento. Solo quando questa si aprì, con un leggero cigolio, alzò gli occhi e vide lo sconosciuto con il cappello in mano.

    «Vi chiedo scusa, Mademoiselle, - domandò in francese - sareste così caritatevole da concedermi ospitalità? Sono tremendamente desolato di disturbarvi, ma uno dei viaggiatori dello scompartimento in cui mi trovavo fuma sigari pestilenziali, incessantemente. Mi sono deciso a cercare una carrozza in cui il viaggio fosse meno sgradevole.»

    Marya esitò: una donna sola doveva fare attenzione, diffidare degli sconosciuti; senza dimenticare che non era mai stata una grande cultrice delle conversazioni mondane, amava la solitudine. Ma il sorriso sincero e cordiale dell'uomo e la sua spiegazione l'avevano intenerita, gli fece segno di entrare.
    Questi la ringraziò con un cenno del capo e le si accomodò di fronte, posando accanto a sé la piccola valigia che teneva in mano.

    La donna restò a osservarlo qualche istante, mentre estraeva dalla valigetta un plico di fogli, coperti di cifre; schemi; formule matematiche, o forse chimiche, non vedeva bene. Distolse lo sguardo prima che se ne accorgesse e la trovasse scortese, per tornare a concentrarsi sul finestrino.
    Cercò di immaginare il momento dell'abbraccio con la sorella, una volta arrivata, e si chiese se ne avrebbe apprezzato il marito, lo conosceva solo attraverso le lettere di Bronia, non lo aveva mai incontrato.

    «Abitate a Parigi? O vi recate in visita?»
    La voce dell'uomo l'aveva sorpresa, esitò prima di rispondere;: il suo francese era ancora difficoltoso e si sentiva goffa quando doveva parlarlo, anche se ormai lo comprendeva sempre meglio e lo leggeva quasi perfettamente.
    L'uomo fraintese il suo silenzio.
    «Vogliate scusarmi, vi ho imposto la mia presenza e ora vi impongo anche una conversazione, forse preferivate stare sola.»
    Marya si affrettò a tranquillizzarlo, non sapeva perché ma lo sconosciuto le ispirava simpatia, non voleva che si sentisse importuno.
    «No, sono già stata sola molte ore... parlare mi farà bene. Ma parlo lentamente, mio francese ancora debole. Il mio francese: dimentico spesso articoli.»
    L'uomo sorrise.
    «Oh! Non avevo capito, scusatemi, siete russa?»
    «Polacca», precisò lei d'istinto.
    «Dunque, andate a Parigi in visita?»
    «Mia sorella vive là. Ora anche io.»
    Non voleva che il silenzio si installasse di nuovo, formulò la domanda nella mente prima di parlare, per sentirsi più sicura della pronuncia.
    «E voi, vivete a Parigi?»
    «Sì, ci sono nato ed è lì che vivo e lavoro. Torno da Liegi, una conferenza.»
    «Oh! Siete professore?» Domandò indicando i fogli sulle ginocchia di lui.
    «Talvolta. Mi occupo soprattutto di ricerca. Sono direttore di laboratorio: ultimamente, mi sto interessando all'influenza della temperatura sulla magnetizzazione dei corpi, più in particolare agli effetti... Scusatemi! Mi lascio sempre trasportare, la forza dell'abitudine, ma non voglio annoiarvi.»
    «Oh, no! Non mi annoiate affatto. Amo le scienze, mi appassionano enormemente.»
    L'uomo le rivolse uno sguardo intrigato e ammirativo.
    «Questo è piuttosto raro, nel gentil sesso. Studiate le scienze anche voi?»
    Marya scosse il capo dolcemente.
    «Impossibile. Nel mio paese è... come dite voi? Interdetto alle donne di fare studi superiori. Amavo le scienze a Liceo, ma poi... obbligata a smettere.»
    «Oh! Che principio ingiusto. Vietare lo studio a chi lo ama, davvero insensato.»
    «Già. Per questo mia sorella vive a Parigi, ha studiato medicina.»
    Non aggiunse che era stata lei, con il suo lavoro di governante, a finanziare la formazione di Bronia. Non che lo avesse vissuto davvero come un sacrificio, nemmeno negli attimi più bui: la felicità della sorella era anche la sua. E ora, finalmente, era il venuto anche per lei il momento di costruirsi un futuro.
    «I vostri genitori devono essere molto fieri.»
    «Mio padre lo è, è un professore, cioè, lo era. Mia madre è morta molti anni fa.»
    «Perdonate la mia indelicatezza.»
    «Non potevate saperlo, non scusatevi. Anche mia madre sarebbe stata fiera, era istitutrice, sono stati nostri genitori a donare a noi la passione della conoscenza.»
    L'uomo restò in silenzio qualche istante, osservando il paesaggio sfilare silenzioso oltre il vetro.
    «Spero di non offendervi con i miei apprezzamenti, sono sinceri: sono lieto di questo incontro fortuito. Siete una persona fuori dall'ordinario: interessante, intelligente... e coraggiosa, per lasciare ciò che conoscete, il vostro stesso paese, e ricominciare altrove, così.»

    Marya abbassò lo sguardo, sentendosi arrossire. Quell'uomo le faceva uno strano effetto: non sapeva se fosse a causa dello sguardo profondo e sincero, dell'aria distinta o della sua professione. Certo, la colpiva anche il fatto che non si irritasse o beffasse del suo francese esitante anzi, pareva ascoltarla attento e ammirato. Per chi come lei era cresciuta in una terra soggiogato dall'occupante straniero, sentendosi sempre umiliata, discriminata e schernita a causa dell'accento polacco, era una sensazione nuova e inebriante.

    Di nuovo, l'altro fraintese il suo silenzio.
    «Non volevo turbarvi, scusatemi.»
    «No, non preoccupatevi, è un turbamento piacevole, non ho l'abitudine di essere trattata con tanta deferenza.»
    Si stupì della propria audacia: ammettere in quel modo di apprezzare le attenzioni di un perfetto sconosciuto. Che le stava succedendo? Gli uomini non la interessavano, non ne aveva il tempo: tutte le sue energie erano rivolte al progetto di frequentare l'università, studiare, diventare un giorno insegnante. Non era come le ragazze della sua età, tutte concentrate nella ricerca di un marito.
    L'ultima volta, non che l'unica, in cui un uomo le aveva fatto battere il cuore risaliva ad anni prima. Casimiro, il figlio maggiore della ricca famiglia in cui lavorava all'epoca. Non poteva ripensare a quel periodo senza provarne amarezza: anni lontano da casa, dalla città, in quel borgo ottuso e arretrato, potendo rientrare dai suoi cari solo di rado giacché Varsavia distava ore e ore di slitta e di treno.
    Casimiro, i suoi sentimenti, erano stati il solo raggio di sole in quel periodo buio. Desiderava sposarla e aveva accettato. La sciocca e breve illusione di di due fanciulli: la famiglia di lui non poteva tollerare che l'erede prendesse in moglie una misera governante, seppur di nobili origini.
    Idiozie retrograde, a pochi anni dall'inizio del nuovo secolo.
    Marya scosse le spalle a scacciare i ricordi. Casimiro era stata la sola chimera sentimentale cui si fosse mai abbandonata, una parentesi chiusa da tempo. E ora, si trovava ad arrossire come una ragazzina alle parole di uno straniero dai modi cortesi. Doveva essere la stanchezza del lungo viaggio.

    «E dunque – chiese l'uomo – avete dovuto interrompere gli studi alla fine del liceo?»
    «Sì, e mi costò: amavo studiare, ed ero portata per... imparare. Gli insegnanti mi apprezzavano, ho avuto la medaglia, quella per allievi meritevoli, alla fine del liceo.»
    Non specificò che in tutti questi anni aveva continuato a coltivare la passione per lo studio, da sola, nella sua stanza, ma anche collaborando, sia in qualità di studente che di insegnante, alle lezioni clandestine dell'Università volante. Incontri segreti, al calar della sera, tra i muri di una sartoria o nel retrobottega del calzolaio. Un modo per mantenere viva la sete di conoscenza e la voglia di libertà dei giovani polacchi che rifiutavano di essere indottrinati unicamente alla cultura ufficiale delle scuole dell'impero zarista, inneggiante alla superiorità del popolo russo e alla storia a senso unico dei vincitori.
    Per quanto intelligente e apparentemente interessato alle sue parole, non pensava che uno straniero, cresciuto in un paese libero e sovrano, avrebbe potuto comprendere.
    «Ma ora - riprese con un leggero sorriso sulle labbra - frequenterò l'università, per questo vado a Parigi.»
    «È meraviglioso, sono molto felice per voi. Avete già deciso l'indirizzo dei vostri studi?»
    «Scienze... la fisica, probabilmente.»
    L'ammirazione nello sguardo dell'uomo aumentò ancora.
    «Allora forse, chissà un giorno, potremmo trovarci a lavorare insieme.»
    Marya non rispose: le sarebbe davvero piaciuto incontrare ancora quest'uomo gentile, un po' più anziano di lei, a giudicare dall'aspetto, ma ancora giovane e affascinante. Ma non era il caso di perdersi in fantasticherie romantiche.
    Voltò il viso verso il finestrino, mentre con la coda dell'occhio guardava il compagno di viaggio, tornato a concentrarsi sui suoi fogli.

    Sussultarono entrambi quando la voce del capotreno annunciò l'imminente ingresso del convoglio nella Gare de L'Est di Parigi.
    Marya e lo scienziato si scambiarono uno sguardo sorpreso: le ultime ore del viaggio erano volate, nella reciproca compagnia.
    Si prepararono all'arrivo, Marya indossò il cappello e i guanti, l'uomo l'aiutò a trasportare le valigie. In attesa dell'apertura delle porte, restarono in silenzio, senza sapere come concludere quell'incontro fortuito.
    Una volta scesi, le porse la mano per congedarsi.
    «Non mi sono nemmeno presentato. Pierre Curie, per servirvi.»
    «Marya Skłodowska... anzi, Marie, per voi francesi. È stato un piacere e un onore conoscervi.»
    «Piacere e onore sono miei, mi auguro che ci incontreremo ancora, un giorno. Spero che la vita vi riservi tutto ciò che desiderate.» Con un ultimo cenno del capo, partì.
    Marie lo guardò allontanarsi, il cappello nero sul capo e la valigetta nella mano sinistra. Avrebbe davvero amato rivederlo, la cosa le pareva certo improbabile ma niente è già scritto nella vita.
    Dopo un corto istante si voltò a scrutare la folla sul marciapiede.
    Scorse il viso della sorella. Sorrise.
    La sua nuova vita stava per cominciare.
     
    Top
    .
0 replies since 13/11/2017, 17:52   12 views
  Share  
.