Olimpiadi Letterarie

La strega rossa dei Balcani

Sfida 1 - genere storico

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    Al tramonto, una donna avvolta in una coperta stringe in mano una tazza fumante e sospira, lo sguardo fisso sui grattacieli di New York. I suoi pensieri sono dei gomitoli di lana: ingarbugliati e confusi.
    Si scosta lentamente dalla finestra e si gira sui tacchi, poi si siede sul divano e abbandona il corpo contro lo schienale, le gambe piegate da un lato. Prende un sorso di caffè e appoggia la tazza sul tavolino pieno di giornali in varie lingue.
    La notizia ha già fatto il giro del mondo. Slobodan Milošević, il dittatore serbo, è morto nel carcere olandese di Scheveningen dove scontava la pena per i crimini contro l’umanità. Gotov je. He’s finished. Ha acabado. È finito.
    Per sempre.
    Chissà perché le viene in mente proprio ora il vecchio slogan del movimento studentesco Otpor. Resistenza. Sembrano passati secoli da quando combatteva fianco a fianco dei suoi concittadini, camminando giorno e notte per le vie della capitale con il fischietto in bocca. Se chiude gli occhi, sente ancora le grida, il rumore di scarpe in marcia.
    Il telefono suona. Non ha voglia di parlare con il suo capo che la vorrebbe sul primo volo per Mosca.
    Conosci bene quella famiglia. È ora che tu metta da parte i tuoi timori. Non puoi scappare di continuo. Devi andare al funerale. L’intervista all’ultima imperatrice bizantina la puoi fare solo tu. Mi fido di te. So che prenderai la decisione giusta.
    Il segnale acustico pone fine al messaggio. Maja sbuffa imprecando in serbo. Non possono mandare qualcun altro a caccia di streghe?
    Sono anni che non mette piede sul suolo europeo. Evita abilmente qualsiasi domanda contenente la parola Balcani. Nessuno sa quanto le costa stare lontana dalla famiglia, né può immaginare le ragioni che l’avevano portata a distanziarsi in maniera definitiva da quella terra martoriata che, una volta, chiamava casa.
    Il passato, ha imparato a sue spese, se ne frega dei confini. Mettere un oceano tra se stessa e il paese natio non è servito a farla stare meglio.
    Ora il direttore del giornale si aspetta che cambi idea da un giorno all’altro. Intervistare la strega, secondo lui, potrebbe aiutarla a riappacificarsi con le sue origini che evita ostinatamente da otto anni. Non capisce che solo sentire quel nome le fa ribrezzo.
    Mira Marković, chiamata anche Lady Macbeth dei Balcani. La donna che tirava con scaltrezza i fili della storia jugoslava. La moglie e la madre esemplare. La leader della sinistra sempre pronta ad alimentare i fuochi dell’odio in una terra con un equilibrio precario spesso messo in discussione.


    Belgrado 1998

    La valigia, con il minimo indispensabile all’interno, giaceva aperta sul letto. Sul comodino il passaporto di un paese fantasma: Repubblica Federale di Jugoslavia e dei biglietti aereo. Maja camminava avanti e indietro per la stanza.
    «Partire o non partire? È tutto pronto ormai…» sospirò e si passò una mano tra gli scuri capelli sciolti.
    Il giorno dopo il funerale di Stefan, distrutta dal dolore e confusa come mai prima di allora, aveva capito che combattere non serviva a nulla. Anni e anni di proteste, per cosa poi? Per vedere il regime continuare a seminare terrore e mietere vittime?
    Lo voglio morto, lui e la sua consorte! Dovrebbero farli impiccare in piazza Terazije! , aveva gridato, le mani sulle guance in fiamme.
    Si era buttata sul letto, esausta, pensando al corpo insanguinato di Stefan. Malediceva i poliziotti che l’avevano ucciso a colpi di manganello.
    Aveva dormito fino all’alba, girandosi di continuo per sfuggire agli incubi. Le immagini di quella donna con i capelli neri a caschetto, e un fiore viola dietro l’orecchio destro, volavano intorno a lei come in una giostra.
    La odiava come nessuno. Se avesse potuto, avrebbe fatto l’irruzione nella sua villa a Dedinje e l’avrebbe strangolata con le proprie mani.
    Andarsene, viste le circostanze, era il naturale passo da compiere.
    «È inutile pensarci ora. Devo solo vestirmi per il viaggio e chiudere la valigia. Che ci vuole? Forza Maja!»
    Un’ora dopo suonò il campanello.
    «Are you ready, my dear? Dobbiamo sbrigarci. Anche se hai tutti i visti, non sarà così semplice passare il confine in fretta.»
    La ragazza annuì, silenziosa. Diede l’ultimo sguardo al suo appartamento.
    «Sono pronta, Michael.»
    Chiuse la porta con un tonfo.
    In macchina, mentre correvano verso Budapest, un pensiero fluttuava nella mente di Maja: non sarebbe tornata mai più.

    New York 2006

    Da ventiquattro ore Maja si interroga senza avere una risposta definitiva. Ha passato tutta la notte accanto al portatile acceso e una scatola piena di ricordi dell’epoca successiva alla sua fuga.
    Le notizie dalla Serbia sono poco chiare. La famiglia del defunto dittatore è spaccata. Non si conosce il luogo della sepoltura. La vedova dal suo rifugio rosso spera ancora che il governo revochi l’ordine di cattura e le permetta di dare l’ultimo saluto al marito.
    Maja è nauseata dalle parole dolci che cozzano con l’immagine che ha di Mira. Vorrebbe tanto dirle in faccia tutto quello che pensa della sua abominevole storia d’amore.
    È ora che tu metta da parte i tuoi timori.
    Il pacchetto di sigarette sul tavolo in cucina è vuoto. Ne ha fumata una dietro l’altra scorrendo le pagine web di testate principali serbe ed estere.
    «È decisamente pazza!» Maja fa un salto sulla sedia, rossa dalla collera. «I funerali di Stato, a lui!»
    Per quel che la riguarda, il corpo di Slobo potrebbe marcire ovunque, tranne nella sua Belgrado. Non si merita il rispetto del popolo che lui stesso, insieme alla consorte malvagia, ha tenuto in ostaggio per un intero decennio.
    Nella notte ha riletto più volte tutte le lettere che Michael le inviava attraverso l’ambasciata americana, finché era in servizio, insieme ai trafiletti di giornali che parlavano della patria. Sa a memoria tutti i discorsi e gli articoli della strega.
    Perché diavolo è così indecisa allora? In fondo è un lavoro come altri: deve solo intervistare una donna che non conta più niente sulla scena politica del paese.
    Di mostri del suo calibro ne ha incontrati parecchi, nella lunga carriera. Li ha guardati sempre negli occhi, senza paura. Non è più una ragazzina intimorita che marciava nel marzo 1993 sfidando il regime insieme all’amato Stefan e i loro compagni di università, con in mano una macchina fotografica per immortalare gli accadimenti che la stampa di stato censurava.
    L’intervista all’ultima imperatrice bizantina la puoi fare solo tu.
    Sono lontani gli anni del terrore. Quel cinque ottobre duemila ha cambiato per sempre la storia della Serbia.
    So che prenderai la decisione giusta.
    «E se avessi davvero l’occasione unica per chiudere una volta per tutte il cerchio dell’odio?»
    Maja si abbandona contro lo schienale della sedia e chiude il portatile. Getta uno sguardo sull’orologio da polso che segna le sei del mattino. La Grande Mela si sta svegliando lentamente. Allunga le mani sopra la testa e trae un respiro profondo. La sua pancia brontola. Da quanto tempo non mangia?
    Il cibo in aereo non le è mai piaciuto. Come sarà la primavera russa? Farà molto freddo? Non è mai stata a Mosca. Non parla una parola della lingua comunista. Quel poco che aveva imparato nelle medie era volato subito via dai suoi ricordi adolescenziali.

    Mosca 2006

    Dietro un uomo di successo c’è sempre una donna. Mira Marković aveva plasmato alla sua immagine e somiglianza il piccolo dittatore jugoslavo e, ora che l’uomo non c’è più, Maja fatica a scorgere il dolore nei contorni di quel viso austero odiato a lungo.
    È invecchiata parecchio da quando l’aveva incontrata l’ultima volta in un comizio del suo partito JUL. Se temeva che potesse riconoscerla, nonostante il cognome americano del marito, questo per fortuna non è successo.
    Allora Maja era solo una giornalista alle prime armi. I discorsi della strega, seppur non condividesse la sua fede comunista, l’affascinavano.
    «Me l’hanno ucciso, ho sempre saputo che sarebbe finita così…» esordisce Mira, amareggiata.
    Maja annuisce. È ancora presto per sferrare un attacco.
    «Non mi hanno permesso di assistere al suo funerale, lo può credere? Dopo tutto quello che abbiamo fatto per il paese…»
    Le due donne si squadrano, in silenzio.
    «Signora, sulla sua testa pende ancora il mandato di cattura dell’Interpol.»
    «Non sono il mostro che lei crede. Non ho fatto nulla di male, sono tutte calunnie.»
    Le labbra di Maja si contorcono in una smorfia ironica.
    «È stata però lei a ordinare gli assassini dei nemici di suo marito…»
    «Questo è da dimostrare. A cosa esattamente si riferisce, signorina…?»
    «Signora Thompson, ma lei può chiamarmi Maja. Mi riferivo a Stambolić. Non è grazie a lui che il suo marito ebbe una vertiginosa ascesa al potere?»
    «Maja, è un nome dalle nostre parti. Da dove viene?»
    «Sono io che faccio le domande, — sbuffa, seccata, la donna — ricorda? Vengo da Belgrado.»
    «Una bella città, è da tanto che non ci torno. — sospira Mira — E no, mio marito non è responsabile per la morte di Ivan. Erano amici.»
    «Certo, suo marito non avrebbe ucciso una mosca…» sussurra la giornalista, infuriata.
    «È poco professionale, sa. Potrei chiudere l’intervista qui.»
    Maja sorride e sostiene lo sguardo della strega, sfidandola.
    «Ma non lo farà. Quindi, lei nega che il regime si sbarazzava degli oppositori.»
    «Certo. Le ho detto, non sono il mostro che crede.»
    «Torniamo indietro, negli anni ’90… parliamo delle guerre in Bosnia e Croazia e del sogno della grande Serbia.»
    «Abbiamo fatto il possibile per salvare la Jugoslavia. Sono le grandi potenze che hanno voluto che finisse così. Ci punirono con le sanzioni economiche, indebolendo la nostra economia, chiudendo i nostri confini.»
    Gli anni neri della Serbia. I negozi semi-vuoti, la valuta che perdeva il valore più volte nel corso della giornata. Maja ha in testa una domanda scottante.
    «E, nonostante le difficoltà economiche del paese, suo figlio si arricchisce all’improvviso. Come lo spiega?»
    «Marko era un ragazzo intelligente, a differenza dei suoi coetanei…»
    «I ragazzi costretti a combattere sui fronti in Croazia e Bosnia li chiama stupidi?»
    «Non eravamo qui a parlare di mio marito? Sta infangando la mia famiglia!»
    «Sono i fatti, perché nega? Conoscono tutti gli affari sporchi di suo figlio? Come mai un così bravo ragazzo non ha potuto essere l’altro ieri al funerale del padre?»
    Mira non parla. I suoi occhi sono inumiditi.
    «Non sa che significa perdere l’uomo amato. Non ha idea di quello che provo. Ho fatto male ad accettare l’intervista.»
    Si alza dalla sedia e se ne va senza salutare.
    Anche gli occhi di Maja brillano. Lo sa, eccome. Si è sentita esattamente così dopo il funerale di suo ragazzo.


    * La sinistra jugoslava unita, N.d.a

    Edited by Flora* - 14/11/2017, 00:21
     
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