Olimpiadi Letterarie

I funerali del giudice

Finale - Genere: ucronico

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  1. Befana Profana
     
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    Palermo, 25 novembre 2017



    Dopo aver finito di sistemare nell'espositore i giornali ricevuti un'ora prima, Angelo si stirò. Stava invecchiando: la schiena sopportava sempre meno quegli sforzi.
    Verificò con occhio esperto che tutto fosse in ordine. Raddrizzò una copia della Gazzetta dello Sport che aveva uno spigolo ripiegato su se stesso e lo sguardo gli cadde sui titoli dei quotidiani che sembravano fare a gara di caratteri cubitali. Il tono era lo stesso per tutti.
    “Grazie di tutto”
    “Una vita da eroe”
    “Addio, Signor Giudice”
    “La Patria riconoscente”
    Sarebbe stata una giornata particolare per tutto il paese, ma per Palermo e la Sicilia ancora di più. Non c'erano dubbi.
    Erano le sette: Angelo aprì la saracinesca.
    Aveva parlato con la moglie, la sera prima, della possibilità di tenere chiuso per partecipare alla cerimonia, come molti, ma aveva scelto di lavorare anche quel giorno. Era uno degli insegnamenti che il giudice Borsellino aveva fatto suoi e onorato tutta la vita: fare sempre il proprio lavoro.
    «Bon giornu, Angelo, comu stai
    L'edicolante sorrise: Alfio era puntuale come un orologio svizzero, alla faccia degli stereotipi sui meridionali. Ogni mattina, all'apertura, era lì con il sorriso e la voglia di chiacchierare. Anche se oggi il sorriso era un po' dimesso.
    «Bene, sto. Un po' triste sono, come tutti. Sarà una giornata un po'... così, no?»
    «Eh... la sigaretta è una brutta bestia, — rispose Alfio accendendosi una delle sue eterne MS rosse — avrebbe potuto campare ancora vent'anni senza quel vizio.»
    «Senti chi parla!»
    «Eh, ma io a che servo? Meglio che me la godo, cosa ci sto a fare io vent'anni di più, qui. Lui sì era uno importante, uno che ha fatto il bene, che ha cambiato le cose.»
    «Certo, ma vent'anni forse no, non era più un giovanotto...»
    L'arrivo di un cliente interruppe la conversazione. Guardando Angelo consegnargli una copia de “Il giornale di Sicilia”, con un cenno del capo, il vecchio ne chiese una anche per sé.
    L'edicolante obbedì e restò in silenzio, lasciandolo tranquillo a concentrarsi sui titoli. Sapeva bene che non era un fulmine con le parole scritte.
    Via Vittorio Emanuele cominciava appena ad animarsi: il sole non era ancora sorto del tutto, la luce proveniva soprattutto dai lampadari ancora accesi.
    Di solito a quell'ora c'era poca gente in giro, eppure oggi si vedevano già diversi passanti. Non bisognava essere un indovino per comprendere dove fossero diretti: tutti erano vestiti a festa, molti tenevano un fiore in mano, per lo più una rosa bianca.
    La cerimonia non sarebbe cominciata prima di due ore ma erano in molti a non voler mancare all'ultimo saluto al grande uomo.
    Alfio levò la testa dal giornale per guardare passare un paio di furgoni della Rai.
    «Le telecamere arrivano, vogliono trasformare in show pure questo?»
    «Eh, Alfio, che ti aspettavi? È... era un eroe nazionale. Non sarebbe lo stesso paese, L'Italia in cui viviamo, senza di lui.»
    Il vecchio non rispose e tornò a immergersi nella lettura: seguiva le righe scritte con un movimento altalenante del capo, da sinistra a destra.
    «Certo, che è una strana coincidenza, lui e Riina morti la stessa settimana.»
    «Almeno avrà avuto la soddisfazione di vedere partire la Belva, prima di lui. Cosa credi abbia provato?»
    Il vecchio alzò le spalle.
    «E che ne so, ma era un cattolico osservante, un'anima pia, il giudice, non credo nutrisse rancori. Guarda la storia con l'ex Cavaliere. Leggesti l'intervista al Corriere? Il giornalista chiese se non lo infastidiva vederlo scarcerato per motivi di salute e il giudice rispose parlando di pietas: da buon cristiano non si poteva opporre a un atto di carità.»
    Angelo annuì: aveva letto quell'intervista.
    Ripensò alle immagini dell'ex miliardario, ripreso dalle telecamere impietose delle televisioni di mezzo mondo nel momento in cui l'ambulanza lo conduceva all'appartamento di Milano Due in cui avrebbe trascorso gli ultimi mesi di vita agli arresti domiciliari. Un vegliardo tremante, smunto, su una sedia a rotelle. Una bombola di ossigeno per aiutarlo a respirare.
    Così lontani lusso e potere, le ville, i festini, gli incontri con potenti e faccendieri internazionali. Scomparsa la sua fortuna, sequestrata in seguito al maxiprocesso che, nella metà degli anni Novanta, aveva segnato una svolta epocale per il paese.
    “Il crepuscolo del Caimano”, avevano titolato i giornali.
    Difficile riconoscere in quell'essere umano inerme l'arrogante e onnipotente faccendiere che aveva dominato la scena economica e sociale del paese per decenni.
    Era stato uno scandalo inimmaginabile quando, in piena ascensione politica, mentre si apprestava a candidarsi alle elezioni, a capo di un partito-impresa nuovo di zecca, era stato arrestato come referente politico di Cosa Nostra.
    Era stata un'epoca caotica: i grandi partiti storici erano in pieno mutamento e in una crisi spesso irreversibile, minati dagli scandali di corruzione e dalla sfiducia dell'elettorato.
    Le cosche cercavano nuovi interlocutori a livello istituzionale, vedendo venir meno quelli tradizionali.
    Anni in cui i giudici antimafia si erano attaccati agli intrecci tra criminalità e organi dello Stato in modo sempre più sensibile. L'epoca delle stragi.
    Cosa Nostra aveva cercato di chiudere la partita attaccandosi direttamente ai magistrati: dopo quello terribile di Capaci, c'era stato l'attentato fallito a Borsellino.
    Angelo ebbe un brivido ripensando a quel giorno di luglio del Novantadue.
    «Che ti succede?» Gli chiese Alfio, spostando lo sguardo dal quotidiano all'amico.
    «Pensavo che questo funerale è mancato poco si dovesse farlo venticinque anni fa.»
    I due uomini rimasero in silenzio, ripensando all'orrore evitato d'un soffio grazie alla zelante pattuglia di vigili che aveva notato l'auto sospetta in via D'Amelio, a pochi passi dall'ingresso dell'immobile della madre del giudice più famoso d'Italia.
    La vettura imbottita di esplosivo avrebbe dovuto deflagrare all'arrivo del magistrato, venuto cercare la madre per portarla dal medico.
    I vigili erano intervenuti meno di mezz'ora prima dell'arrivo suo e della scorta.
    Angelo ricordava bene il senso di orrore e di rabbia provati davanti ai telegiornali di quel giorno: la Fiat 126 circondata dagli artificieri intenti a neutralizzarla, lo sconcerto dei residenti. La consapevolezza diffusa che qualcuno aveva voluto mettere un termine definitivo alle investigazioni sui legami tra mafia e politica.
    Ricordava i mesi di indagini sui mandanti di una mancata strage “di Stato”, il processo dei processi, gli imputati illustri.
    Poteri criminali e organi corrotti delle Istituzioni avevano tentato ancora, con ogni mezzo, con le stragi di Firenze e Milano, di ostacolare il lavoro delle forze oneste di polizia e magistratura, ma la caparbietà di queste ultime e l'indignazione di un popolo intero avevano avuto la meglio.
    Era stata un'epoca di fermento sociale: la gente sembrava infine aver compreso, scossa dall'apocalisse mancata in via D'Amelio, che c'era una guerra in atto tra mafia e pezzi di stato collusi, da un lato, e pezzi puliti dello stato, dall'altro: bisognava schierarsi.
    Una rivoluzione pacifica che aveva portato alla quasi totale scomparsa di una classe politica corrotta e logorata dal potere e alla nascita di una Seconda Repubblica e di un paese diverso.
    Gli anni dei due mandati alla più alta carica di Tina Anselmi: la Presidente della Repubblica più amata dopo Pertini. Anni di una pulizia in profondità del sistema politico italiano.
    Riforme rimandate da anni per servire interessi esterni, finalmente vedevano il giorno: nuova legge elettorale, le riforme di Camera e Senato, delle amministrazioni locali.
    Erano state gettate in quegli anni le basi del miracolo italiano di cui ora si coglievano i frutti: un sistema politico onesto, un'economia in piena crescita, un progresso sociale e finanziario che finalmente, per la prima volta beneficiavano anche alle regioni del sud.
    Certo, la mafia non era eradicata, forse non lo sarebbe stata mai, ma era ridotta a nemico marginale e soprattutto era finalmente stata estirpata dalle istituzioni.
    «Angelo, ci sei ancora? A che pensi?»
    «A che paese sarebbe il nostro se il giudice fosse morto quella mattina di venticinque anni fa.»
    I due uomini scossero la testa all'unisono: chi poteva saperlo? Lo stato avrebbe accettato ancora una volta di trattare con i criminali? Il lavoro del magistrato sarebbe stato insabbiato? Il sistema di sempre avrebbe continuato a ripetersi?
    Il figlio di Angelo lavorava in una delle tante startup specializzate nell'high-tech che da qualche anno spuntavano come funghi nella provincia palermitana, ormai scherzosamente chiamata la Siculon Valley. Una regione in pieno progresso, in un continuo fermento di idee e di innovazioni, la Sicilia del nuovo millennio: ci sarebbe stata quella “rivoluzione” senza i grandi processi contro la “mafia di stato” degli anni Novanta e la conseguente moralizzazione della politica e della società? Nessuno poteva dare una risposta: la storia non si fa con i se, Angelo però ne dubitava, lui che era cresciuto negli anni Ottanta, tra guerre di cosche e notabili collusi.
    «Vado.»
    La voce di Alfio distolse l'edicolante dalle sue riflessioni. Guardò l'anziano piegare il giornale e infilarlo nell'eterno borsello nero.
    «Vai alla cerimonia?»
    «Lo hai detto pure tu: glielo dobbiamo, gli dobbiamo molto.»
    Angelo annuì e lo salutò stringendogli la mano con affetto.
    La strada era quasi deserta ormai, tutti dovevano già essere sul posto.
    L'edicolante si sedette sullo sgabello che gli serviva a riposare le gambe durante le lunghe giornate di lavoro e accese il piccolo televisore posato in alto sopra uno scaffale.
    Sullo schermo apparvero i dintorni della Cattedrale già gremiti di gente: una folla composta e sobria. L'omaggio di una città e di un paese intero.
    Le telecamere si spostarono a inquadrare le piazze e strade laterali, piene anch'esse, poi l'immagine sfumò, lasciando spazio a uno spot per il prossimo Festival di Sanremo: nemmeno delle esequie potevano sottrarsi al diktat pubblicitario, pensò Angelo guardando senza ascoltarlo davvero Beppe Grillo annunciare le grandi novità dell'edizione duemiladiciotto del festival e i suoi grandi ospiti.
    Lo showman cominciava a farsi vecchio, si disse l'edicolante: anni prima non avrebbe mai accettato di presentare un evento nazionalpopolare come Sanremo.
    La diretta dagli esterni della Cattedrale riprese. Angelo aumentò il volume: il commentatore ricordava la carriera del giudice, lo scampato attentato del Novantadue, poche settimane dopo l'orribile strage che aveva ucciso l'amico di sempre, Falcone, la moglie e la scorta.
    Ancora una volta Angelo rabbrividì, pensando a come sarebbe cambiata la storia d'Italia, a come tutto sarebbe stato diverso, se quell'attentato avesse avuto successo.
    Scosse le spalle con veemenza: preferiva non pensarci.
     
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  2. Antonio Borghesi
     
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    Un ucronico perfetto ma a mio parere un po' troppo politicizzato.
     
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1 replies since 27/11/2017, 18:10   30 views
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